Sognare un amica defunta 

La biblioteca della scuola elementare era gremita di bambini che prendevano libri e si accalcavano intorno al tavolo dove stavamo lavorando. Eravamo un gruppo di volontari, per lo più mamme, impegnate a dare una mano in occasione della fiera del libro.  Io ero seduta accanto ad una mamma graziosa dai capelli biondi, dall’accento straniero e dal sorriso contagioso. Il suo nome era Lone, così mi disse, e veniva dalla Danimarca. Un anno più tardi, Lone e la sua famiglia traslocarono in una casa poco lontana dalla nostra e, nonostante le nostre differenti culture, diventammo ben presto buone amiche. Era difficile non stringere amicizia con lei: era divertente intelligente e sempre pronta a fare qualunque cosa per aiutare gli altri. Era una persona su cui potevo contare sempre-sia di giorno che di notte-ogni volta che mi trovavo in difficoltà. Potevo chiederle di tutto: dal burro o dal latte per una ricetta, alla carta stagnola per qualche progetto da realizzare a scuola, al fare le trecce a mia figlia, fino al confezionare un costume per Halloween. Lone era un’amica di grande talento e generosità. Ma era il suo aiuto nel campo del giardinaggio quello sul quale contavo maggiormente. Lei sapeva tutto sulle piante, sapeva quali sarebbero cresciute rigogliose e quali sarebbe ben presto avvizzite, sapeva quando e come trapiantarle e conosceva persino il loro nome in latino! C’era da restare intimoriti davanti al suo giardino e a tutti i suoi vasi traboccanti di fiori. Lei da sola riuscì a cambiare il mio pollice nero in pollice verde. Facevamo spesso dei giri di perlustrazione nei vari vivai in cerca dei migliori affari. “Rimetterlo a posto le prende questo”, mi diceva lei. E io eseguivo. Aveva la capacità di trovare dei gioielli in mezzo allo sterco. Furono le piante a portarla a casa mia un pomeriggio di inizio ottobre. Avevo un’aiuola piena di salvia splendida e le avevo chiesto se voleva alcune pianticelle che avevo tolto per sfoltirla. Lei andava di fretta, ma corse da me e, come al solito, cominciamo a chiacchierare. Ci facemmo qualche risata e chiacchierammo un altro po’, insomma, fu un pomeriggio come tanti altri ma qualche settimana dopo, quando suo marito si presentò alla nostra porta chiedendo di parlare con me e mio marito, capì che doveva esserci qualche problema. Fu allora che venimmo a sapere che Lone era molto malata. Ultimamente non si era sentita troppo bene, ci disse il marito, sebbene lei non ne avesse mai fatto parola con me, né quel pomeriggio né in altre occasioni. Alla fine, soffriva così tanto che aveva dovuto farsi ricoverare in ospedale, dove le avevano diagnosticato un tumore al pancreas e le avevano dato poche speranze circa la possibilità di guarire. Lei era pronta a sottoporsi a qualunque trattamento, ci disse ancora il marito, ma la situazione era seria. Per il momento, lei non voleva vedere nessuno e aveva chiesto al marito di farmelo sapere. “La posso chiamare?” chiesi, in lacrime. “Non ora”, rispose lui. Ti chiamerà lei quando si sentirà meglio”. Novembre giunse e se ne andò. Ogni tanto mi presentavo da lei con un dolce e un bigliettino, ma Lone non si sentiva mai abbastanza bene per vedermi. E nemmeno mi chiamò. Poi, una settimana prima di Natale, in una notte terribilmente fredda, lei morì.  Una delle sue figlie mi telefonò e mi chiese di andare da loro. Là, finalmente vidi colei che era stata mia amica per quindici anni. Ma, purtroppo, lei se n’era già andata.

Fu per me uno shock perdere Lone. E quel che era peggio è che non avevo mai avuto l’opportunità di dirle addio, di dirle quale amica meravigliosa fosse stata per me, di ringraziarla per la sua gentilezza e generosità, di farle sapere quanto mi sentivo onorata nel chiamarla mia amica. Sapevo che aveva letto i miei bigliettini, nei quali avevo tentato di esprimere quello che provavo nei suoi confronti, ma io non sono molto brava in queste cose. Soffrivo per la gran quantità di cose non dette. La famiglia riportò il suo corpo in Danimarca per seppellirla e nella nostra Chiesa si tenne invece un breve servizio commemorativo. Le settimane passarono e, proprio come la neve che era caduta in dicembre, anche il mio dolore inizialmente acuto, cominciò a dissolversi. Poi, a mano a mano che la stagione avanzava, le piogge primaverili presero a cadere e, mentre guardavo il mio giardino dove l’erba verde cominciava a spuntare fra le foglie secche, sentì improvvisamente e in modo acuto la mancanza di Lone! Eravamo solite raccontarci a vicenda i progressi compiuti dalle nostre piante in primavera, quasi fossero impegnate in qualche genere di gara che ne premiava la crescita. Ma quell’anno riuscivo a malapena a trascinarmi fuori in giardino. La primavera era tornata in tutta la sua gloria, ma a me sembrava cupa senza lei al mio fianco. Poi, una mattina, mi svegliai prossima alle lacrime. Scesi immediatamente a raccontare a mio marito il sogno che avevo fatto, sebbene, persino allora, fossi consapevole che quanto avevo vissuto fosse ben più che un sogno! Avevo visto Lone in una stazione molto affollata, la sua figura lontana e indistinta. Non riuscivo a credere alla mia buona sorte! Chissà se sarei riuscita a raggiungerla? Ma mentre mi guardavo in giro cominciai a rendermi conto che ero la sola in grado di vederla. La gente si affrettava tutt’intorno a lei, ansiosa di prendere il treno per tornare a casa. Sapevo che lei era morta, si, me lo ricordavo mentre la guardavo camminare in mezzo a quella folla. Tuttavia, quella era la mia ultima occasione ed ero più che mai determinata a non perdermela. La vidi infilarsi in un negozio e passare in rassegna alcuni cappotti e pensai che la mia amica non aveva perso il suo senso pratico. Faceva così freddo in Danimarca! Mi feci largo tra la folla ed entrai nel negozio. “Lone” gridai. Lei si voltò e mi guardò con quel suo sorriso contagioso che conoscevo così bene. Corsi da lei e l’abbracciai. “Ti voglio così bene!” Esclamai senza riuscire a trattenermi, e scoppiai a piangere. Devo dire che non sono una persona particolarmente espansiva. E nemmeno lo era lei. La verità è che non ci eravamo mai dette prima una cosa del genere. Ma nel mio sogno, anzi no, in quella visita, riuscì a dire tutto ciò che avevo nel cuore: “Ti voglio così bene!”. Anche lei mi abbracciò, poi mi fissò con uno sguardo d’intesa e un mezzo sorriso. “Lo so”, mi disse. Fu allora che mi svegliai e corsi a cercare mio marito. Mentre gli raccontavo del mio incontro con Lone crollai e cominciai a singhiozzare. Mio marito non riusciva a capire, non sapeva cosa fare. Credeva che fossi sconvolta, ma in realtà ero sopraffatta dalla gioia e dalla gratitudine perché quella visita era proprio tipica della mia amica. Sono più che sicura che Lone fosse al corrente del mio disperato bisogno di dirle che le volevo bene. E lei era tornata da me, solo per poco, per consentirmi di andare avanti. È chiaro, lei non poteva andarsene senza aiutarmi un’ultima volta.