Sono stato in Paradiso: Una bellissima testimonianza
Le parole del medico rimbalzarono nella mia mente: “Purtroppo Jack non ce l’ha fatta”. Incredula, sbattei giù il telefono e crollai singhiozzando sul piano di lavoro della cucina.
Il mio compagno afferrò la mia borsa e mi trascinò di corsa verso il suo camion. Quando giungemmo in ospedale, la vista del mio bambino di cinque anni, Garrett, fu per me uno shock. Il sangue sgorgato dalle ferite sul suo viso si era già trasformato in una crosta nera.
A prima vista, sembrava che avesse perso tutti i denti a causa dell’impatto. “Ciao, Garrett”, dissi mentre mi sforzavo di sorridere e mi chinavo a baciarlo sulla fronte. “Dove hai preso questo orsacchiotto di pelouche? È proprio carino”. “Me l’ha dato l’uomo dell’ambulanza”, articolò a fatica Garrett a causa della mascella tumefatta. Come la maggior parte dei bambini, Garrett era affascinato dagli operatori di servizio di pronto intervento. Il suo programma televisivo preferito era Rescue 911 e, prima dell’inizio della trasmissione, era solito allineare tutte le sue macchinette elettroniche sul tappeto davanti alla tivù. Non avrei mai immaginato che mio figlio potesse diventare una vittima in un episodio tutto suo. D’un tratto, la porta si aprì e il medico entrò nella stanza. “Dobbiamo controllare che non ci siano traumi interni. Dato che Garrett non riesce a inghiottire, dobbiamo fargli passare un tubo attraverso il naso fin giù nella gola per iniettargli il liquido di contrasto per la radiografia. Le spiace rimanere qui a tenergli la mano?”. “No, certo”, risposi, lottando per trattenere le lacrime.
Poco importava che di solito non avessi neppure il coraggio di guardare l’ago che mi entrava in vena quando mi facevano un prelievo. Il resto della giornata è un ricordo confuso. Di tutte le telefonate e della moltitudine di visitatori non ricordo quasi nulla tranne che a un certo punto cominciai a sentirmi pervasa da uno strano ma gradito senso di calma. Più tardi, quello stesso giorno, il medico ci diede la prima buona notizia. “Garrett ha riportato una piccola frattura alla mandibola, ma dalle lastre non risultano danni interni”. Il viso tumefatto di mio figlio gli impediva di esternare qualunque espressione, ma capii che stava cercando di sorridere. Non voleva che mi preoccupassi. Ben presto si addormentò. La mattina successiva feci bere a Garrett alcuni piccoli sorsi di succo di frutta, aiutandomi con un flaconcino per il collirio. “C’è qualcosa che non va, mamma?”. “No, niente”, mentii.
Nonostante la calma che provavo, la verità era che non avevo idea di come comunicargli cosa era successo al suo fratellino di due anni, Jack. “Perché non aspetti che sia Garrett a chiederti di lui?” Mi consigliarono i miei amici. Inizialmente, mi parve un buon piano, ma quattro giorni dopo Garrett non mi aveva ancora chiesto nulla. Con l’avvicinarsi del funerale, il mio compagno John, cominciò a mostrarsi preoccupato. “Vuoi che gliene parli io?” Mi chiese. “No”, sospira ai. “Devo farlo io!”. Il viso di Garrett si illuminò quando entrai nella stanza. “Guarda mamma! Bruce mi ha portato altri animali di pelouche. E il trasformatore che volevo… Optimus Prime”. “
Che bello tesoro”, dissi avvicinando esitante una sedia al suo letto. “Tesoro”, esordii. “Sì mamma?”. Tutto d’un tratto il mio corpo parve paralizzatasi. “Se ti dicessi…”, Mi bloccai, cercando di riprendere fiato.”Si tratta di Jack, non ce l’ha fatta!”. Le lacrime presero a scorrermi lungo le guance. Non riuscivo neppure a guardarlo. “Mamma, lo so già”. “Lo sai già?”. Rimasi a bocca aperta. “Dopo l’incidente, io sono andato in Paradiso con Jack”. Garrett lanciò in aria Optimus Prime e produsse con la bocca alcuni suoni di spari mentre abbatteva nemici invisibili. “Jack ci doveva andare, ma Dio mi disse che non era ancora giunta la mia ora”.Improvvisamente mi ritrovai seduta sul bordo della sedia. “Com’era il paradiso?”.” Mamma!”. Garrett mi guardò irritato.
Mentre posava il suo trasformatore gli comparve sul viso un’espressione di sconcerto. “Mamma! Non posso dirtelo!” “Perché no?” Insistetti. “È una sorpresa!”. “Sono certa che a Dio non importerà se me lo dici tesoro. Lui capirà… sono tua madre!” “No mamma, non posso… Dio mi ha detto che è un segreto”. Ritornò a giocare con i suoi pupazzi mentre io, attonita, mi appoggiavo alla spalliera della sedia. Di certo mio figlio aveva scelto il momento giusto per cominciare a tenermi dei segreti. In passato si era sempre confidato come, ma adesso le sue labbra sembravano sigillate.
La calma mostrata da mio figlio contribuì ad accrescere la mia. Durante la cerimonia funebre di Jack parlammo entrambi e io gli tenni il microfono mentre lui raccontava davanti a centinaia di presenti di avere scortato il fratellino fino in Paradiso. Nei giorni e nelle settimane successivi alla sua uscita dall’ospedale, tentai di estorcergli qualche dettaglio in più, ma lui non si lasciò sfuggire il benché minimo indizio. La sua infantile fiducia mi lasciava perplessa, tuttavia, lottai contro il mio scetticismo. Garrett aveva davvero compiuto un viaggio fino in Paradiso oppure quella storia era semplicemente il frutto della sua immaginazione infantile? I bambini di quell’età potevano inventarsi chissà quali storie fantastiche. Comunque, pur trattandosi di una semplice fantasia, dovevo ammettere che con lui funzionava. Non soffri’, come invece avrebbe dovuto soffrire, almeno stando a ciò che dicevano i vari manuali sulle tecniche di recupero da eventi dolorosi. Non ebbe mai gli incubi riguardo all’incidente.
E, sebbene a carico del padre biologico fosse stata emessa una condanna differita per un omicidio colposo con guida sotto l’influenza di droghe, Garrett non mostrò di nutrire alcuno dei sentimento nei suoi confronti. Ciò nonostante, io continuai ad insistere perché mi confinasse qualcosa di più in merito al suo viaggio in paradiso. Finché non scoprii il motivo di quel suo insolito silenzio. Un giorno, mentre leggevo le mie preghiere del mattino, mi imbattei in una storia della Bibbia che parlava di un uomo che era stato in paradiso. Quell’uomo non poteva descrivere ciò che aveva visto perché si trattava di un segreto. Rimasta esterrefatta. Nella seconda lettera ai Corinzi l’apostolo Paolo diceva di essere stato rapito fino al terzo cielo, dove aveva udito parole ineffabili, parole che non era dato all’uomo di poter esprimere. L’apostolo Paolo aveva vissuto lo stesso tipo di esperienza di Garrett.
Mi soffermai un attimo su quei versi. Mio figlio aveva visto qualcosa che non gli era permesso raccontare. Si trattava davvero di un segreto. Non era una storia di fantasia, ma una storia di fede. Chiusi La Bibbia. I miei dubbi si erano finalmente dileguati. Chi ero io per competere con un mistero divino? Intimorita, mi resi conto che quel viaggio in Paradiso aveva aiutato Garrett a trovare la pace nel mezzo di una tragedia. Non metterò mai più in dubbio la fede di un bambino e nemmeno la capacità di Dio di aiutare a superare vicende dolorose dando la pace. Soprattutto ai suoi preziosi bambini. La morte di Jack ha cambiato la mia vita. Grazie alla sensazione di pace e conforto che ho provato in quel tragico momento, ho cominciato a scrivere.
In un certo senso, il lascito di Jack continua a vivere in me. In quanto a Garrett, adesso ha diciannove anni e, sebbene parli ancora poco del suo viaggio in Paradiso, devo dire che quella sua condizione di pace interiore non lo ha mai abbandonato. So che quel giorno Dio aveva un valido motivo per confidargli un segreto. E, per quanto io desideri saperne di più, una cosa so per certo: in Paradiso ci sono pace e gioia in abbondanza, perché Garrett ne è tornato con una scorta lunga una vita.
Jack Canfield – Mark Victor Hansen e Amy Newmark – Brodo caldo per l’Anima, Messaggi dal Paradiso