LA MORTE NON E’ LA FINE

Patricia Person è una giornalista, e al paranormale non ha mai creduto. Ma un giorno qualcosa ha incrinato tutte le sue certezze: suo padre è morto all’improvviso, nel sonno. Nello stesso istante sua sorella Katherine, che viveva a centinaia di kilometri, ha “visto” il papà accanto al proprio letto. E Katherine da quel momento ha affrontato la sua malattia terminale con serenità e consapevolezza, felice di attraversare il confine.
La giornalista Patricia Person , scettica e razionalista convinta, ha iniziato a interrogarsi senza pregiudizi dopo la scomparsa di sua sorella. Ha raccolto numerose testimonianze, ha recuperato dati e ricerche. E ha scoperto che i nuovi studi scientifici sulla fisica quantistica, la telepatia e la preveggenza possono fornire nuove chiavi interpretative.

LO SCRITTORE SCANDINAVO JOAHN KULD LE HA RACCONTATO CIÒ CHE GLI È CAPITATO POCO DOPO LA MORTE DELLA MOGLIE. UN’ESPERIENZA DA INVIDIARE:

“Un giorno, a gennaio, verso le tre del pomeriggio sedevo su una panca in camera mia. A un tratto ho visto la porta che si apriva e mia moglie che entrava. Si è avvicinata sorridendo. L’ho fissata come se fossi ipnotizzato e non sono riuscito a spiccicare parola. Quando si è fermata davanti a me, ha allungato la mano dicendo: “Non avere paura, sono viva”.
Le ho preso la mano e ho sentito che non era fredda, bensì normale. Allora ho trovato il coraggio di chiedere: “Dove sei stata? Che cos’è successo?”.
“Poco dopo che sono morta in ospedale mi hanno permesso di restare là per prendermi cura di una donna gravemente malata. Da allora sono stata in molti posti. Ora che questo periodo è finito, devo andare. Sono venuta per dirti addio.” Poi ha aggiunto: “Togliti le scarpe e stenditi sul letto. Io mi sdraierò accanto a te”. Ho obbedito. Mi ha accarezzato la guancia e mi ha sussurrato frasi bellissime. Mi sono sentito al colmo della gioia. Poi sono stato pervaso dalla calma e circondato da un senso di pace che non so descrivere a parole. Ho sentito che mia moglie continuava a tenermi la mano e ad accarezzarmi la guancia e mi sono addormentato. Quando mi sono svegliato qualche minuto dopo, ero solo. La parte del letto su cui si era stesa era vuota. Se n’era andata, ma ero certo che fosse stata lì, che avesse parlato con me, che mi avesse sfiorato la guancia e la pelle. Era stato il suo modo per dirmi addio e per ringraziarmi del tempo trascorso insieme. Questo episodio è ancora molto vivido nella mia mente. Non è invecchiato o sbiadito con il passare degli anni. 

Nel 1994 la pubblicitaria Karen Simons ha perso improvvisamente suo padre per un infarto. Gli eventi intorno alla sua scomparsa dimostrano, ancora una volta, come si sovrappongono fluidamente esperienze che i ricercatori continuano a distinguere e separare: Alta, bellissimi occhi verdi, Karen sedeva nel suo ufficio spazioso, i gomiti sulla scrivania e il cordino portachiavi dell’azienda appeso al collo, circondata da libri e documenti accatastati. Sul portatile continuava a ricevere mail, ma non le guardava neanche, concentrata com’era a ripetere gli eventi legati alla morte del padre: Era un agricoltore, aveva appena compiuto ottant’anni, ed era ancora vigoroso e pieno di progetti, nonostante i problemi di cuore. In autunno era andato sulla costa occidentale per vedere i nipotini e là uno di loro aveva fatto un sogno.
“Ho sognato che il nonno mi chiedeva di portarlo a casa, perché non voleva morire qui a Seattle. Aveva bisogno di tornare alla sua fattoria. Nel sogno eravamo all’aperto, in mezzo a colline e foreste e strade a perdita d’occhio, e il nonno sembrava molto debole. Continuava a ripetermi di portarlo a casa ma non sapevo proprio come fare. Gli ho domandato, e lui mi ha detto che avrei potuto prenderlo in braccio. Gli ho fatto notare che non ero abbastanza forte. E lui ha risposto che doveva assolutamente andare a casa ed era sicuro che sarei riuscito a sollevarlo se ci avessi provato. Allora l’ho sorretto e abbiamo cominciato a camminare.“Papà è arrivato a casa il sabato” racconta Karen.“Domenica sera ha insistito per averci a cena, me, mio marito e i nostri figli. Il giorno dopo doveva andare a una riunione di agricoltori. L’ultima immagine che ho di lui è mentre mi saluta la mattina, e fa canestro con il giornale nella spazzatura. Dopo che papà è mancato, ho cominciato a usare il suo vecchio Ford Taurus. In un certo senso mi confortava. Finché, sei settimane dopo la sua morte…” Karen inclina la testa e guarda oltre le mie spalle, corrugando le sopracciglia mentre cerca di ricordare il momento esatto. “Era gennaio, una sera molto fredda. Guidavo in superstrada quando al posto del passeggero ho visto lui, papà. L’ho sentito che si sistemava. Era sempre un po’ piegato verso sinistra, a causa della sua schiena. Mi ha fatto compagnia per 16 km. Era incredibilmente reale, e mi ha cambiata del tutto. La testa mi girava. Speravo tanto che restasse!” Karen ha capito che il padre le stava dicendo addio. Da allora non ha più avvertito la sua presenza. Ne ha parlato con un’amica buddista, la quale le ha spiegato che secondo i buddisti l’anima indugia per quarantanove giorni, circa sei settimane, prima di andarsene.Questo però non spiega il caso di sua zia, che trentacinque anni fa ha perso un figlio. Guidava per lavoro i mezzi pesanti ed è caduto nella corrente di un fiume ghiacciato. Non è stato mai ritrovato, e neppure la sua macchina. Ma lui torna regolarmente, si siede ai piedi del letto della madre e chiacchierano.

Patricia Pearson – Alle porte del Cielo

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