HO LASCIATO IL MIO CORPO

Tentai stupidamente di togliermi la vita, spinta da molte ragioni di cui non voglio parlare qui. Una sera feci il giro di più farmacie per procurarmi abbastanza pillole di sonnifero e le inghiottì tutte insieme a una bottiglia di whisky nell’ostello in cui alloggiavo.

Se il ragazzo della mia compagna di stanza fosse andato all’appuntamento con lei, oggi forse non sarei qui. Ma lui non si fece vedere e lei tornò presto intenzionata a buttarsi sul letto a piangere. Invece trovò me, stesa esanime sul materasso. Mi fecero la lavanda gastrica e rimasi in terapia intensiva per svariate settimane, in bilico tra la vita e la morte.

La prima notte in ospedale ebbi questa vivida esperienza: Ero uscita dal mio corpo e mi vedevo stesa sul tavolo operatorio, attorniata da tre medici e due infermiere. L’equipe lavorava in silenzio, ma erano tutti chiaramente preoccupati. Al di là della porta non c’erano parenti angosciati, soltanto la mia compagna di stanza (non era nemmeno mia amica perché non andavamo d’accordo) confusa e scioccata. Non provavo nulla vedendo il mio corpo. Era come se guardassi un vestito o un capo d’abbigliamento che non ti va di indossare. Ero consapevole di sentirmi completamente libera. Il tormento emotivo era durato troppo a lungo e provavo un senso di sollievo per essermene liberata. Mi limitavo a osservare con distacco i medici e infermieri che armeggiavano sul mio corpo.

Poi uscii all’esterno dell’ospedale, a fluttuare nei giardini e nel parcheggio, sentendomi profondamente in pace con me stessa. In nessun modo sarei tornata a provare il dolore che avevo conosciuto sulla terra. Finalmente ero libera. Percepivo l’avvicinarsi della luce, ma proprio quando stavo per abbracciarne il confortevole calore mi ritrovai nella sala operatoria. Ancora una volta vedevo il mio corpo con i tubi infilati fin nello stomaco. Poi notai due persone in piedi al mio fianco, una da una parte e una dall’altra. Osservavano il mio corpo sul tavolo, ma a differenza di me sembravano molto tristi. Non le avevo mai viste prima, però sapevo che erano entrambe morte. Sapevo anche che erano sorelle, tutt’e due vittime di un incidente stradale avvenuto qualche tempo prima. Sembravano indossare capi degli anni 60. La maggiore si sentiva responsabile perché era alla guida dell’auto. Questo senso di colpa era talmente forte da impedirle di dimenticare la vita che aveva vissuto sulla terra. La più giovane, amava a tal punto l’altra da non voler andare da nessuna parte senza di lei. Preoccupata per loro, domandai come mai rimanevano lì in ospedale a guardare la gente morire. Spiegai che erano morte e che dovevano andare la dov’era destino che andassero.

Mentre parlavo, provai questa meravigliosa sensazione di pace, come se per la prima volta da anni stessi facendo la cosa giusta. Loro mi rivolsero uno sguardo confuso e mi chiesero cosa ci facessi io li, dato che ero viva e tuttavia desideravo essere morta. Nel loro mondo, nemmeno io ero dove avrei dovuto essere. In un istante seppi che non era ancora giunta la mia ora e che dovevo tornare indietro. Appena me ne resi conto le due sorelle svanirono. Eravamo tutte tornate nel luogo che ci competeva.

Poi ricordo di essermi svegliata con la gola molto secca in un reparto d’ospedale. La mia compagna di stanza mi teneva la mano, profondamente addormentata con la testa appoggiata a una rivista. Non posso descriverlo, e nemmeno spiegarlo, ma la cordialità e l’amore che provai per lei e per chi mi stava intorno in quel momento, aveva dell’incredibile. Ero intensamente, profondamente grata di essere viva, una sensazione che è rimasta intatta in tutti questi anni. Cerco di vivere appieno ogni istante perché so che tutto quello che facciamo in questa vita viene osservato, e che ogni volta che i vivi non apprezzano ciò che hanno, causano dolore e confusione nell’aldilà e impediscono agli spiriti di seguire il loro destino. Non ho più avuto esperienze analoghe, ma so che quando verrà il mio momento di trapassare, non avrò paura di morire.