Gesù era vegetariano

Gesù era vegetariano puro e lo era anche sua Madre. Questo implicava, ieri come oggi, non mangiare carne, né pesce, né alcunché proveniente da animali vivi. Inoltre nessuno dei due beveva vino.
Eppure dai Vangeli canonici ciò non è evidente, anzi sono descritti molti episodi in cui il Maestro sembra approvare il consumo di carne, di pesce e di vino…
Nella descrizione del primo miracolo di Gesù, durante le Nozze di Cana, per esempio, Maria viene informata che non c’è più vino per gli invitati, per cui chiede al figlio di far qualcosa. Ecco che Gesù, dapprima riluttante in quanto “non è ancora l’ora” […] ordina infine che si vada alla fonte a riempire d’acqua le giare vuote e poi con quelle si riempiano bicchieri degli ospiti. Nella perplessità generale, alcuni dei presenti lo fecero, fiduciosi in un prodigio e infatti da ognuna di quelle giare uscì ottimo vino per tutti.

“Tre giorni dopo, ci fu una festa nuziale in Cana di Galilea, e c’era la madre di Gesù. E Gesù pure fu invitato con i suoi discepoli alle nozze. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: ‘Non hanno più vino’. Gesù le disse: ‘Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta’. Sua madre disse ai servitori: ‘Fate tutto quel che vi dirà’. C’erano là sei recipienti di pietra, del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei, i quali contenevano ciascuno due o tre misure. Gesù disse loro: ‘Riempite d’acqua i recipienti’. Ed essi li riempirono fino all’orlo. Poi disse loro: ‘Adesso attingete e portatene al maestro di tavola’. Ed essi gliene portarono. Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l’acqua che era diventata vino (egli non ne conosceva la provenienza, ma la sapevano bene i servitori che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: ‘Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono fino ad ora’. Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.”. (Gv 2: 1/11)

In seguito, quando Gesù compì il miracolo della “moltiplicazione dei pani e dei pesci”, fu per dar da mangiare a migliaia di persone che lo seguivano per ascoltare le Sue parole. Questo miracolo è descritto in modo pressoché identico in tutti e quattro i Vangeli canonici:
Da ogni parte erano sopraggiunte migliaia di persone dimentiche dei loro impegni, attratte dal suo amore e dalla sua predicazione e lo avevano fatto senza rendersi conto del passare delle ore. Dato che stava per farsi buio, gli apostoli ne parlarono a Gesù, che chiese loro di distribuire alla folla quel poco che avevano: contarono in tutto cinque pani e due pesci…
Mentre la moltitudine stava appostata in silenzio riverenziale per ascoltare le parole del Maestro, gli apostoli iniziarono a girare con quel poco cibo nelle ceste, offrendolo a tutti. Ma il pane non finiva mai e nemmeno il pesce, tanto che tutti ne mangiarono a sazietà e ne avanzò.
Da questa cronaca si direbbe che i discepoli e quindi anche Gesù quando si spostava con loro, mangiassero pesce. Ma non era così. Gesù era vegetariano.

GLI ESSENI
Gesù e Maria facevano parte della sètta degli Esseni, come risulta da molti episodi documentati su di loro. Avevano anche fatto “voto di Nazireato”, il che implicava la totale astensione da alimenti non vegetariani, vino e ogni altro tipo di bevanda inebriante. Quale Nazireo, Gesù rispettava la regola di non radersi la barba, di non tagliarsi mai i capelli e d’indossare abiti senza cuciture. Inoltre non poteva toccare i cadaveri.
Giuseppe Flavio parla degli Esseni nella sua opera “Guerra Giudaica” (II: 119/161), descrivendoli come un gruppo di religiosi ebraici dalle abitudini estremamente rigorose, i quali si distaccavano anche dalle leggi della Torah, non ammettendo alcun tipo di sacrificio animale. Bevevano una sorta di mosto ricavato da uva dolce bollita e non fermentata; questa bevanda analcolica ma ipercalorica era ricca di vitamine e sali minerali e per questo forniva un’ottima profilassi medica dalle proprietà curative e disintossicanti.
Molti storici parlano degli Esseni e dei Nazirei: Plinio, Epifanio, Filone e altri ancora. Tutti confermano le abitudini rigorose di questa sètta votata al rispetto di Dio in tutte le Sue manifestazioni e documentano il voto di Nazireato come massimo rigore all’interno della sètta stessa. Alcune madri votavano il proprio figlio al momento della nascita, come fece anche Maria.
Del “voto” di Gesù si parla non solo nei Vangeli apocrifi (4). Si legge anche in quelli canonici che, “per via del voto, nessuno Gli aveva mai tagliato i capelli” e la sua tunica è spesso descritta “senza cuciture”…

GESÙ IL NAZIREO
I Nazirei erano definiti anche “meditativi”, “silenziosi” e “terapeuti”. Questi aggettivi spiegano molto bene com’erano considerati dai loro contemporanei e come le loro abitudini alimentari li avevano fatti esperti delle capacità medicamentose delle piante e delle erbe, di cui dovevano per forza conoscere ogni proprietà, dal momento che di esse si cibavano.
Il termine Nazoreo o Nazareno identificava gli appartenenti a pacifiche sètte della Samaria e della Galilea che esistevano prima di Gesù e si proclamavano custodi della vera religione d’Israele. Secondo Hug J. Schonfield (5), anche i Mandei chiamano i loro adepti “Nasurai” e di conseguenza esisterebbe un valido motivo per ritenere che gli eredi di questi Nazorei siano gli attuali Mandei, una sètta millenaria (che pratica il battesimo con l’acqua) sopravvissuta fino a oggi sulle sponde del fiume Eufrate.
Secondo l’autorevole biblista inglese C.H. Dodds, i Nazorei erano la sètta guidata da Giovanni il Battista. Secondo le sue ipotesi, Gesù era indicato con quell’appellativo essendo stato un discepolo di Giovanni.

“Il Nazireo”. Così era dunque chiamato spesso Gesù… e questo appellativo fu sempre più spesso confuso con “il Nazareno”, inducendo a errori di traduzione facili a immaginarsi: il più scontato è “Colui che viene da Nazareth”.
Il termine greco “o Nazoraios” (dall’aramaico “Nazorai” e dall’ebraico “Nozri” ) è tradotto in latino con Nazarenus e quindi in tutte le lingue occidentali moderne con “di Nazareth”.
L’articolo greco “o” si perde dunque nella traduzione in latino e di conseguenza in tutte le successive traduzioni dal latino; apparentemente può trattarsi d’una svista.

Eppure si tratta di un piccolo dettaglio che fa la differenza. Come si può credere che i primi Cristiani (giudei convertiti) potessero confondere il voto di Nazereato con il nome d’una città (ammesso che sia mai esistita)? Il Nazereato era la volontà dimostrata da alcuni di rinnovare le tradizioni religiose e i Nazirei erano tenuti in grande considerazione in tutta la Giudea.
Dubito molto fortemente che ci troviamo davanti all’errore di qualche traduttore e più ancora che un tale improbabile errore sia stato “non voluto”. Le abitudini di Gesù il Nazireo sarebbero potute diventare un esempio da seguire, uno specchio in cui riflettere le abominevoli abitudini che la potente gerarchia sinedriale aveva da secoli. E in seguito esse costituirono un pericolo ancor maggiore per il successivo clero cristiano…
A questo punto, sembra proprio che una serie di provvidenziali errori di traduzione abbiano scongiurato il pericolo di comprendere i veri insegnamenti di Gesù. Il cover-up iniziato con la Sua crocifissione, s’è trasformato un po’ alla volta in un depistaggio senza precedenti, sopravvissuto fino ad oggi distorcendo la verità sulla vita del Cristo.
I Cristiani “delle origini” si nutrivano quasi esclusivamente di erbe, alghe, bacche, frutta e miele. Avevano appreso direttamente dal Maestro questa “regola”. La carne e il pesce erano proibiti e tuttavia nel Nuovo Testamento sono raccontati alcuni episodi in cui Gesù ne mangia egli stesso e li raccomanda agli altri…
Le varie traduzioni dall’aramaico e dal greco, rivedute e corrette secondo il caso, hanno fornito una versione della vita di Gesù così reale da sembrare vera. Suggellata dall’imprimatur clericale in quanto conforme, nell’insieme, alle versioni di altre fonti, la storia di Gesù (distorta nella sua essenza), iniziò a essere divulgata in tutto il mondo. Poca importanza ha avuto il fatto che siano stati scelti come canonici quattro Vangeli scritti molti anni dopo la scomparsa del Messia e scartati quelli scritti in epoca coeva. S’è parlato anche di un “Vangelo dei Nazareni” (6)…
Come avrebbe potuto il clero giustificare i lauti pasti e i piaceri di gola cui era abituato? E del resto, perché mai doversene privare?
Come accettare di “pagare” le azioni inique commesse in vita e le trasgressioni agli insegnamenti del Maestro… con una reincarnazione karmica? Meglio sarebbe stato un provvidenziale perdono divino, anche in extremis!
La verità era dunque così pericolosa?

GESÙ IL RABBI
Dal momento che lo chiamavano “Rabbi”, dobbiamo ragionevolmente ritenere che Gesù il Nazireo fosse un Rabbino o che venisse chiamato così per rispetto, nel senso di “Dottore”. Oppure era chiamato “Rabbi” perché era il “Maestro di Giustizia” (Nazor) dei Nazorei (o Nazirei). Nel primo caso, si sarebbe sposato e avrebbe predicato ed esercitato il ministero con la moglie…
Anche nel secondo caso, comunque, sarebbe stato obbligato dalle severe leggi ebraiche a sposarsi e avere prole. Strano come si voglia ignorare questo dettaglio. Era dunque un Rabbino, sì o no? Se lo era, perché si vuole che i “ministri del Signore” siano legati al voto di castità? Potrebbe questa “apparente” incoerenza… seguire un preciso piano di “depistaggio storico”? Nelle prossime pagine analizzerò questo spinoso punto.
Nel terzo caso (Maestro di Giustizia) sarebbe stato fedele al voto di castità; a meno che ad un certo punto non avesse deciso di uscire dalla comunità essèna – mantenendo fraterni rapporti con essa – per adempiere ad una particolare “missione”.

GIOVANNI IL NAZIREO
“Giovanni il Battista viveva nel deserto cibandosi di locuste e miele”. Molti ricorderanno questa frase, se non altro per il ribrezzo all’idea di Giovanni che mangia gli insetti. Desidero tranquillizzare il lettore: non si trattava di locuste, ma di carrube…
A quanto pare, le carrube non piacciono solo ai cavalli, ma anche alle locuste e, infatti, questi legumi sono chiamati, in Palestina, anche “fagioli delle locuste”. Inoltre è nota la carica proteica e vitaminica delle carrube, che ne ha fatto “cibo dei poveri” in molti paesi; il loro gusto dolciastro e la facile reperibilità (gli alberi di carrubo sono selvatici, producono molti baccelli da mangiare freschi o secchi… e non necessitano praticamente mai di acqua) hanno contribuito a sfamare molta gente. Arrampicati sui rami dei carrubi, molti bambini italiani hanno spesso cercato di riempirsi la pancia come potevano, specialmente durante la prima e seconda Guerra Mondiale…

Le carrube assomigliano a grossi fagioli con grossi baccelli neri. A differenza dei primi, si tratta d’una leguminacea che non ha bisogno di pioggia o acqua, quindi può proliferare in zone dove queste scarseggiano. Le locuste, invece, si nutrono principalmente di piante verdi, che crescono dove piove. Con questo semplice ragionamento è chiaro che Giovanni il Battista, che viveva nel deserto, non avrebbe dovuto cercare insetti per nutrirsi, ma gli sarebbe stato più facile nutrirsi di carrube, per lui facilmente reperibili.
Inoltre bisogna ricordare che anche Giovanni era un Esseno che aveva fatto voto di Nazireato e quindi non avrebbe mai potuto cibarsi di insetti, essendo animali vivi (ma anche se non avesse fatto il voto, gli sarebbe stato ugualmente vietato dalla religione giudaica: infatti le locuste non sono indicate tra gli animali commestibili (Levitico).
Le carrube sono chiamate in molti modi. In certe zone dell’Italia sono ancora il “pane di San Giovanni”, a ricordo di come il Profeta se ne cibasse, e fin dai tempi antichi sono chiamate “cibo dei profeti” anche nell’Islam. Il carrubo, infatti, è per antonomasia l’albero di San Giovanni e per questo fu inserito nelle scenografie di molti dipinti, laddove gli autori volevano identificare il Battista.
Che un Nazireo rispettasse la regola del vegetarianesimo “assoluto”, evitando anche la gamma vastissima di cibi permessigli dalla religione giudaica, è un dettaglio di notevole importanza, perché ci aiuta a capire quanti errori (?) siano stati commessi nel tentativo di ricostruire una “storia di Gesù” verosimile, tranquillizzante, permissiva e comoda, da tramandare come esempio di vita. Naturalmente, questo è avvenuto un po’ alla volta, di secolo in secolo, di Chiesa in Chiesa, di Papa in Papa, di Concilio in Concilio…
Invece il Cristo era vegetariano e parlava di reincarnazione…

ERRORI DI TRADUZIONE
Nel Nuovo Testamento è riportato un episodio avvenuto nell’anno 117 dell’Era Cristiana: sostenendo alcuni denigratori che i Cristiani avevano l’abitudine di cibarsi di bambini, per difenderli da queste false accuse una donna di nome Biblis esclamò: “Costoro non possono consumare nemmeno il sangue di animali irrazionali, come potrebbero mangiare i bambini?”. Si parla dunque dei Cristiani e del fatto che non mangiassero carne.
Nel Vangelo di Luca (8: 55) si legge di quando Gesù resuscitò una donna dalla morte e poi ordinò subito di darle della carne. Effettivamente la parola “carne” è ancora una volta il risultato di un’errata traduzione dal greco; alcune meticolose “rivisitazioni” dei manoscritti originali hanno dimostrato infatti che Gesù non aveva ordinato di darle della carne, ma di darle “da mangiare”… darle del “cibo”, insomma!
Ecco come s’è creato l’equivoco: i termini usati nei manoscritti originali (trophe, phago e brome) per indicare il cibo e il verbo mangiare sono stati letti o meglio trascritti, come “carne”. Questo è facilmente dimostrabile: infatti, la parola usata nel racconto in questione (e tradotta con “carne”) è “phago”; se l’autore avesse voluto dire carne, avrebbe scritto “kreas”…
Talvolta, sempre nei Vangeli originali, si trovano parole come “brosimos” (commestibile) e “prosphagion” (mangiato col pane), usate: la prima, per descrivere l’attenzione con cui erano scelte le bacche e le erbe da mangiare all’interno del gruppo di discepoli e la seconda, per sottolineare l’importanza del pane nella dieta vegetariana. Mai e poi mai è usata la parola “kreas” (carne).

Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci
“Dopo questi fatti Gesù andò all’altra riva del mare di Galilea. E una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli… Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da Lui e disse a Filippo: ‘Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?’. Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. Gli rispose Filippo: ‘Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo’. Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: ‘C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma che cos’è questo per tanta gente?’. Rispose Gesù: ‘Fateli sedere’. C’era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. E quando si furono saziati, disse ai discepoli: ‘Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto’. Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.”. (Gv 6, 1-15)

“Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: ‘Questo luogo è solitario ed è ormai tardi; congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare’. Ma egli rispose: ‘Voi stessi date loro da mangiare’. Gli dissero: ‘Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?’. Ma egli replicò loro: ‘Quanti pani avete? Andate a vedere’. E accertatisi, riferirono: ‘Cinque pani e due pesci’. Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta. Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e si sfamarono, e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini”. (Mc 6, 34-44)

C’è un motivo se ho voluto riportare due versioni dello stesso miracolo; come ben si sa, anche nella vita quotidiana di tutti noi, i fatti “riferiti” subiscono sempre qualche cambiamento, secondo chi li racconta. Due o tre persone descrivono lo stesso episodio, raccontandolo in maniera diversa, magari aggiungendo ognuno “del suo” ed ecco che alla fine il fatto originale non è più quello, ma ha subìto qualche modifica. Se poi lo stesso episodio è raccontato anche da altri, che lo hanno sentito da altri e questi a loro volta da altri ancora… e così via, ci saranno altre aggiunte o modifiche, frutto della fantasia delle singole persone. Alla fine sarà impossibile stabilire quale sia la versione esatta.
I quattro Vangeli canonici sono attribuiti a Marco, Luca, Matteo e Giovanni. I primi tre sono definiti “sinottici”, in quanto narrano gli stessi avvenimenti “in parallelo”, mentre quello di Giovanni è completamente diverso e risulta essere stato scritto molto più tardi.
Si deve ragionevolmente ritenere che i rotoli autografi dei quattro evangelisti fossero stati in aramaico (7) e che le “prime” traduzioni degli “originali” dal greco, in realtà fossero già le seconde. E infatti, in una delle famose grotte di Qumran fu rinvenuto un frammento (8) in aramaico del Vangelo di Matteo, che confermerebbe la tesi di quegli antichi commentatori evangelici secondo cui il Vangelo di Matteo era sicuramente stato scritto in aramaico (9).
Ma prima ancora di chiedersi quale sia stato il primo e in quale lingua… urge chiedersi “chi” scrisse i Vangeli canonici, dal momento che le versioni pervenuteci… non furono scritte “da loro”. Forse furono i loro discendenti o i loro proseliti. È possibile anche che si tratti di descrizioni fedeli di racconti tramandati oralmente (fossero stati anche appunti scritti, poco importa), ma in questo caso, visto che chi li ha scritti non ha vissuto “con” Gesù, significa che sono inevitabilmente entrati in campo tutta una serie di “errori” e di “sviste” nelle ricopiature o nelle traduzioni…
Sulla scia di queste traduzioni su traduzioni, seguite da errori di trascrizione o d’interpretazione “di vario tipo” nei secoli, inizia poi a proliferare quella produzione artistica (pittorica, scultorea, musiva, ecc.) che più ancora dei racconti ha cementato nelle menti una serie di messaggi subliminali: immagini palpitanti di realtà…

PESCI?
Quante volte abbiamo ammirato il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci nell’iconografia religiosa? Su capitelli, pale, vetrate e intagli ritroviamo opere del Tintoretto, del Genovesino, di Domenico Fetti, Valentino Rovisi, Pasquale Marini, Bartolomeo Bersani, Lanfranco Giovanni e tantissimi altri artisti che resero con i colori o con gli scalpelli questo importante miracolo del Cristo.
La moltiplicazione dei pani e dei pesci è descritta anche in un mosaico del santuario “Tagbha” (nei pressi di Tiberiade), in uno dei 72 pannelli bronzei del portale della Cattedrale di Benevento, in uno dei 28 riquadri lignei del portale della Basilica di Santa Sabina all’Aventino a Roma, e Nicola Pisano lo raffigurò in marmo sulla tomba di S. Domenico a Bologna. Gustave Doré illustrò questo miracolo in un’edizione della Bibbia del 1874. Eppure…
Partendo da un dettaglio della narrazione cui siamo abituati (ma che in verità rende “stonato” l’accaduto), è possibile iniziare una serie di interessanti investigazioni che lasceranno sconcertato il lettore. Il dettaglio sono i pesci. I pesci “crudi”!
Se possiamo accettare che un uomo porti nella sua borsa due pesci crudi (i discepoli venivano dal lago di Tiberiade, dov’erano stati con il Maestro e uno di loro poteva aver pensato di cuocerli per cena), ci sembra strano che lo faccia se è discepolo di chi pratica il vegetarianesimo assoluto. Senza contare la scarsa possibilità che fosse proprio Gesù a ordinare che ne mangiassero (e comunque che oltre cinquemila persone fossero saziate da lui con pane e pesce, per giunta crudo).
Ecco i punti salienti: il pesce era bandito dalla dieta di Gesù; il Maestro stesso predicava di non uccidere (senza distinguere tra esseri umani e animali); i pesci nelle ceste (come si vede chiaramente nelle opere d’arte a conferma del Vangelo) erano crudi…
Possibile che anche questo miracolo sia stato “inquinato” da una traduzione a dir poco frettolosa? Possibile che un errore grossolano abbia cambiato così facilmente la storia? Possibile che in ambiente esoterico si conoscesse la verità? Perché ci furono alcuni pittori che preferirono dare un titolo più corto al loro quadro (10)? Ma allora, se non erano pesci (cotti o crudi che fossero), che cosa moltiplicò Gesù?

LA MOLTIPLICAZIONE DEL PANE
Ogni evangelista (quale che fosse la sua vera identità) documenta la moltiplicazione “del pane”. Addirittura, mentre Luca e Giovanni descrivono un’unica moltiplicazione “dei pani” (Luca 9, 10-17; Giovanni 6, 1-13), Marco e Matteo ne descrivono due (Marco 6, 30-44; 8 e 1-10; Matteo 14, 13-21 e 15, 32-39). Probabilmente nei due rispettivi racconti, Marco e Matteo descrivono sempre lo stesso miracolo in due versioni (quelle con cui fu tramandato fin dall’epoca dei fatti da cronisti di diverse tradizioni e con le modifiche apportate dai redattori successivi).
Questa cronistoria vista da angolazioni diverse ci permette, in qualche modo, di conoscere il punto di vista del narratore, pur tenendo conto della possibilità di errori.
Quando a Gesù fu mostrato il cibo – insufficiente – con cui nutrire oltre cinquemila persone, probabilmente quanto fu definito “dei pani e dei pesci” era piuttosto “pane di pianta pesce” (11). L’autore del Vangelo originale, tra l’altro, non usò il plurale (come avrebbe dovuto parlando “di pani e di pesci”) ma il singolare (corretto se riferito a “pane di pianta pesce”).
Le alghe necessarie per l’impasto di quest’antichissimo tipo di pane (12) continuano a essere essiccate anche oggi e questo particolare tipo di pane è tuttora molto apprezzato dai mussulmani…

I ROTOLI DI QUMRAN
In un famoso rinvenimento casuale della primavera del 1947, fu ritrovato un puzzle mancante alla raccolta delle Sacre Scritture e siccome questo frammento di papiro era destinato a colmare un notevole “buco” storico provocando molto scalpore, si pensò bene fin da subito di alterarne l’interpretazione… e rendere note le scoperte inserendole in qualche frettolosa edizione economica cui avrebbe potuto, in seguito, essere attribuito qualche involontario (!) errore.
Parlando dei Rotoli del Mar Morto, bisogna fare prima di tutto un breve ma necessario inciso: il frammento 7Q5, esaminato al radiocarbonio, fu datato senz’ombra di dubbio l’anno 50 d.C., ovvero fu scritto una quindicina d’anni dopo la crocifissione di Gesù (con ogni probabilità da qualcuno che l’aveva conosciuto o aveva raccolto le cronache di chi aveva vissuto con lui). Si trattava del più antico frammento di Vangelo giunto fino a noi, consistente in un quadratino di papiro su cui erano scritte una ventina di lettere (nel 1972, durante una catalogazione dei frammenti, il ricercatore dell’Istituto Biblico di Roma Josè O’Callaghan, riconobbe in quelle lettere i versetti 52 e 53 del capitolo 6° del Vangelo di Marco, smentendo altri papirologi prima di lui che le avevano confuse con brani biblici). Altri frammenti di papiri molto più antichi riportavano infatti diversi racconti citati anche nella Bibbia e quindi poterono essere confrontati con le versioni giunte fino a noi. Furono fatte scoperte sensazionali!
Per esempio, dal 400 a.C. (anno in cui si ritiene ultimata la scrittura dell’Antico Testamento) al 980 d.C. (anno in cui fu scritto il più antico testo conosciuto nel 1947), c’era un “buco”. Il “rotolo di Isaia”, lungo 7 metri e trovato nella prima grotta di Qumran, era più antico di ben 1000 anni!
Ho già spiegato in precedenza nel mio libro “Alla Ricerca dei libri di Thot”, che la Bibbia è da considerarsi un testo esoterico, “codificato” in modo che solo gli iniziati possano afferrarne il vero significato; una delle prove della sua codificazione sono i codici ELS, la cui esistenza è oramai assodata da anni (e confermata da sofisticati software).
Una volta confrontati i rotoli di Qumran con gli altri testi biblici a disposizione, il risultato è stato d’una corrispondenza del quasi 100%… la Bibbia, dunque, è stata scritta già “codificata”! Alcuni rotoli erano scritti in chiave esoterica e per altri – dov’erano riportati avvenimenti citati anche nella Bibbia – era fornita un’interpretazione idonea a spiegare il vero contenuto del testo; a questo proposito, era continuamente inserita la parola PISHRO (letteralmente: “la sua interpretazione è”).
CHI la scrisse doveva presupporre che in seguito CHI gli fosse succeduto nei millenni, avrebbe letto una serie di “informazioni” (sarebbe più corretto dire “messaggi in codice”), in virtù del fatto che conosceva già le relative chiavi di lettura. Sarebbe giusto chiedersi: CHI era CHI?

I rotoli del Mar Morto furono nascosti nelle grotte di Qumran dalla sètta degli Esseni, dopo essere stati sigillati in giare di coccio. Con tutta probabilità si sarebbe dovuto trattare d’un rifugio temporaneo per non farli cadere in mano ai soldati romani, di cui gli Esseni temevano le rivendicazioni; smantellarono la biblioteca e prepararono le giare da inserire negli anfratti rocciosi, quindi vi nascosero i rotoli, sperando di poter tornare presto a recuperarli (ma non fu così, evidentemente: infatti, furono sterminati).

Alcuni scavi a circa 500 m dalla caverna principale hanno poi messo in luce le rovine d’un antico monastero, conosciuto come “Khirbet Qumran”, che avrebbe ospitato una misteriosa sètta religiosa (sicuramente quella degli Esseni). Disponeva d’una sala-scrittura dove venivano scritti o copiati i libri: infatti fu rinvenuta una grande stanza con all’interno una tavola molto lunga e una panca, due calamai e una giara d’argilla identica a quelle rinvenute nella prima grotta. Questo fu probabilmente il luogo dove i membri della comunità di Qumran avevano nascosto i documenti per metterli al sicuro dalla legione romana (13). I documenti ritrovati, talvolta minuscoli frammenti, sono scritti quasi tutti in lingua ebraica. Alcuni sono in aramaico (14) o in greco. È la raccolta di oltre 600 testi dell’Antico Testamento, meno il cosiddetto “Libro di Ester”. Una cosa straordinaria riguarda i “commenti” sull’Antico Testamento e il “Manuale della disciplina” della comunità, da cui si sono avute molte informazioni e conferme sulle abitudini della sètta.
Ciò che colpisce subito è un’incredibile analogia con gli usi del gruppo di Gesù e dei dodici apostoli: la figura del “Maestro di Giustizia” (chiamato Rabbi) a capo della sètta (la guida era affidata a un gruppo di dodici “Maestri”), è ancora controversa, ma si potrebbe davvero riferire al Cristo, che veniva chiamato Rabbi.

Lo storico romano Plinio documentò che gli Esseni erano circa quattromila e vivevano sulla sponda ovest del Mar Morto, proprio dove sono state rinvenute le rovine del monastero di Khirbet Qumran. La loro vita era molto austera e umile, e vissuta in purezza d’animo e gentilezza. Non erano considerati pericolosi.
Alcuni rotoli, specialmente quelli sulla “regola”, hanno stupito per la somiglianza con quella dei Cristiani primitivi. Per entrare nella confraternita Essena, ad esempio, i discepoli dovevano rinunciare al possesso dei loro beni, nonché ai precedenti legami. I riti Esseni includevano il battesimo con l’acqua e il banchetto sacramentale.
Gesù era Esseno e per di più Nazireo. Come prima di lui sua madre e Giovanni il Battista. Cosa successe a un certo punto della sua vita, che lo indusse a distaccarsi dalla legge di Mosè per cercare altrove la via di salvezza?
Com’è arrivato un antichissimo manoscritto Esseno in un monastero buddhista del Tibet? Qualcuno aveva voluto metterlo al sicuro… ma da chi? Chi ce l’aveva portato?
Ma soprattutto, cosa contiene di così importante?

D.Bortoluzzi.

Note:
4. Il termine apocrifo non significa “falso”, ma piuttosto “non riconosciuto come vero”. I Vangeli “apocrifi” e quelli “canonici” sono definiti tali a seguito delle decisioni, spesso arbitrarie, prese dal Clero.
5. Il complotto di Pasqua, Endas Libri, 2004.
6. Apocrifo e non ancora pervenuto fino a noi.
7. La lingua parlata da Gesù e dagli Apostoli.
8. Frammento 7Q5. All’esame del carbonio 14 risultò la data presunta del 50 d.C.
9. Per questo motivo era definito “Vangelo degli Ebrei”.
10. Alcuni pittori del Rinascimento diedero un titolo diverso: “La moltiplicazione dei pani”.
11. Un tipo di pane in uso all’epoca di Cristo in Palestina, fatto con un’alga chiamata “pianta pesce” impastata dopo essere stata seccata e polverizzata.
12. Fonti molto antiche ne documentano il consumo già in epoca assiro-babilonese.
13. Anno 68 d.C.
14. La lingua parlata da Gesù.

GESU’ ERA VEGETARIANO