ESSERE SENSITIVI

“Vedo e sento cose fin da bambina. Allora credevo che tutti le sentissero, ma ben presto mi accorsi che non era così.”

Paola parla con calma, fissandomi negli occhi, come ad avere la conferma che non sono qui per prenderla in giro. Ha una sessantina d’anni, e nonna di una bellissima nipotina, le cui foto riempiono il suo soggiorno. La figlia vive col marito in città, se n’è andata da tempo da questo piccolo paese della provincia veneta, dove la gente mormora come il Piave: “Non ci faccio neanche più caso” dice Paola sorridendo “però preferisco mantenere l’anonimato, e non andare in televisione, c’è il rischio di trovarmi una fila di gente davanti a casa, io amo stare tranquilla”. Sembra davvero una massaia di mezz’età come tante, casalinga per nulla disperata, senza ciondoli New Age al collo o oggetti esoterici in questa casa di campagna, che il marito muratore  ristrutturò con le proprie mani, prima di venir portato via da un ictus: “Soffrii molto, ma non mi sono mai sentita sola. Ho continuato ad avvertire la sua presenza accanto a me, specie in questa casa… è una cosa che non si può spiegare a parole, se non la vivi”. Resto in silenzio, la lascio continuare, e lei sembra leggermi nel pensiero: “No, il suo spirito non l’ho mai visto, ma questo non significa nulla. Non tutti loro vogliono o possono farsi vedere. Molti ci fanno solo capire che ci sono, con un soffio d’aria, la fiamma di una candela che oscilla, un suono di campanello, o magari un sogno…”. Tutte cose che, appunto, le capitavano già da bambina. Confrontarsi con i coetanei le era impossibile, o ridevano o non capivano. Era ormai alle scuole medie quando si confidò con la madre. Lei la portò da un medico che liquidò la cosa come semplici fantasie da ragazzina, da cui sarebbe primo poi guarita. Paola sorride di nuovo, ma è un sorriso amaro, questa volta: “In fondo mi è andata bene… un tempo avrei rischiato di finire in un ospedale psichiatrico infantile e di venir curata con l’elettroshock. I manicomi, anche quelli per adulti, erano pieni di persone con una sensibilità particolare”.Le chiedo se per sensibilità particolare intenda medianica. Annuisce: “Medianica significa varcare certe porte, all’inizio lo fai senza rendertene conto, poi impari a controllarlo, anche se non ci riesci mai del tutto. Non riesci mai a escludere l’altra realtà da questa”. Altra realtà, la chiama proprio così. Dunque, una cosa altrettanto reale. Ma quanto concreta?  “Cosa intendi per concreta?” Mi chiede.  Domanda da 100 milioni, a cui nemmeno gli scienziati più geniali sono ancora in grado di rispondere del tutto. La concretezza, il poter toccare con mano ed essere toccati, è una prerogativa di noi esseri materiali. Ma la materia, nelle sue componenti più fondamentali, è formata da campi di energia impalpabile. Come l’aldilà. Le rispondo che ha ragione, che è una domanda imperfetta. E le chiedo che le accadde dopo l’adolescenza.“Accade che le mie capacità restarono immutate. Sentivo voci, vedevo anime di defunti, anche di animali, avvertivo quando in un certo luogo c’era una particolare energia. E a volte cadevo in trance, all’improvviso, anche nei momenti più impensati”. Era pericoloso? Voglio dire, Paola, se capitasse mentre stai attraversando la strada…”“No, non è pericoloso. In trance sei astratto dalla nostra realtà ma continui a registrare tutto quel che accade nell’ambiente, e l’istinto e pronto a reagire”. Mi guardo intorno: sugli scaffali decine di libri di ogni tipo, anche se quelli sul paranormale hanno la prevalenza. Non è certo la libreria che ti aspetti nella casa di una semplice massaia. Le chiedo se li abbia letti tutti “Leggere è un modo di guardarsi dentro, no? Ho studiato alle magistrali, ma la vera cultura uno se la dà da se. Mi sono sposata che avevo vent’anni, ero innamorata persa, non feci mai concorsi per insegnare perché desideravo solo occuparmi del mio uomo. Meglio leggere che guardare la tv ,che è così piena di stupidate, no? Oh, scusa, non mi riferivo a Mistero…” Sorrido io, ora, e mi chiedo quanto la sua ultima frase fosse convinta. Mi ha di nuovo preso in contropiede, con quel suo accento veneto e quell’aria tranquilla da nonna ancora giovane. Rispondo che la tv cerca di usare un linguaggio accessibile a tutti, per quanto questo non giustifichi certi contenuti. Però la televisione è anche il mezzo per far arrivare a milioni di persone film che altrimenti non vedrebbero mai. Come <Il sesto senso>. Le domando se l’ha visto. Si acciglia. “Vuoi sapere se è vero che i morti non sanno di essere morti? No, quasi sempre lo sanno. Quasi sempre, perché alcuni inizialmente non se ne rendono conto. Ma ci sono le guide ad aiutarli a comprendere. Ecco, il film è in qualche modo sbagliato perché di quelle guide non parla.”

“Chi sono le guide?” “Spiriti più elevati, che aiutano i novizi, il più frastornati, ad accettare la nuova condizione”.

“Ma quanto restano in quella condizione? Voglio dire, c’è poi un altro passaggio in un qualche tipo di paradiso?”.

“Io parlo solo della mia esperienza. Non mi hanno mai detto nulla di paradiso o inferno. Sì, le anime che mi appaiono spesso cambiano… Molte non le rivedo mai più… Ma non so se siano passati in un aldilà dell’aldilà. Non lo so”

“Paola, hai mai fatto sedute spiritiche?”.

“Sono pericolose, la gente non lo sa ma sono pericolose. Però sì, ne ho fatte, e ogni volta almeno uno spirito si manifestava, anche con rumori o spostamento di oggetti. Comunque ho smesso da tempo perché non si sa mai chi può arrivare”.

“Presenze oscure? Quelli che vengono chiamati demoni?”

“Scusami, non mi va di parlarne. Qualunque cosa siano, ignorale e loro ti ignoreranno, salvo casi eccezionali come le case infestate. Ma lì il problema è legato al luogo, non alla persona che ci va a vivere. Anche qui c’era uno spirito, quando io mio marito vi venimmo ad abitare. Ma non era una presenza malvagia. Era un bambino che vi aveva vissuto molto tempo fa. Mi si era affezionato, sentivo il suono di un campanellino quando rientravo a casa, come se volesse comunicarmi la sua gioia. Ah, sì… C’era anche un gatto, un gatto fantasma, intendo” lo ha detto con la più grande naturalezza di questo mondo. E’ anche questo a colpirmi e intrigarmi, visto il mio interesse per l’argomento animali oltre la vita.

“Io e mio marito avevamo un gatto ormai anziano, che sembrava vedere l’altro. Non era spaventato, gli faceva le fusa”.

“Già, tuo marito, che ne pensava di tutto questo?”.

“Era scettico, ma l’amore è accettazione, no? Non mi ha mai parlato come se io fossi una mezza pazza. E neanche mi avrebbe mai sposata, se avesse pensato questo. Gli dissi tutto già al nostro primo incontro, e se non è scappato subito, visto quanto gli uomini sono abituati a scappare per un motivo o per l’altro”.

Fa una bella risata, spontanea, contagiosa. Non posso fare a meno di ridere anch’io.

“E il bambino e il gatto ci sono ancora?”.

“No, sparirono quando nacque nostra figlia. Forse erano gelosi, o forse la luce che porta sempre con sé una nuova vita li aiutò a passare un livello più elevato, non lo so. Poi morì anche il nostro gatto”.

“E vedesti anche la sua anima?”.

“No, ma che era, o, se c’era! A volte, per esempio, trovavo la sua ciotola spostata…”

“E nemmeno lui c’e più?”.

“Coraggio… So che voi chiedermelo…”.

Terzo contropiede. Le faccio la domanda: “C’è qualcuno qui con noi adesso?”.

“Sì, c’è. Ma non devi averne paura”.

“Non ne ho”.

Ed è vero, benché il crepuscolo autunnale dia alla stanza un’atmosfera da storie di fantasmi. Di nuovo mi torna in mente quella frase: E’ dei vivi che bisogna aver paura ,non dei morti.

“Non devi averne, no. Chi ne ha è solo perché non accetta, o non capisce”.

“Nemmeno io capisco tutto…”

“Perché, credi che io si?”, Dice Paola sorridendo.

“C’è un’ultima domanda che devo farti, consideri la tua una benedizione o una condanna? te lo sarai domandato a tua volta, immagino”.

“Oh sì, tante volte. Poi in uno di quei libri ho letto che il concetto di benedizione, anticamente, era associato a quello di dono. E io so che il mio è un dono. Magari difficile da accettare e conservare, ma pur sempre un dono”.

Quel dono Paola lo vive da sola con se stessa, condividendolo solo con le persone a lei più vicine. Purché non ne parlino in giro. È stato un puro caso venire a sapere di lei, e se ho scelto la sua testimonianza è perché mi è sembrata la più spontanea tra tutte le medium che ho conosciuto. Mi bastò una telefonata, per capirlo, e per apprezzare la sua riservatezza, pari alla disponibilità che ha avuto nei miei confronti:

“E mi raccomando, usa solo il mio nome di battesimo”.

“Sei cattolica, Paola?”.

“Credo in Dio… ma cattolico o altro non ha importanza per me. Una luce comunque c’è, al di sopra di tutti i livelli. Una luce che scalda il cuore, e anche gli spiriti di chi non è più in vita”.

La sua frase risalta ancor di più nell’oscurità scesa sui campi pronti per il sonno invernale. E capisco che è quella luce a dare a Paola la sua serenità.

 

Indagine sull’Aldila’ vita oltre la vita —   Ade Capone