DUE ANGELI
Il dolore è una componente inevitabile nella nostra esistenza, e tutti sappiamo bene che ogni persona prima o poi dovrà affrontare il rovescio della medaglia della felicità. Questa è la legge degli opposti. La vita però è stata particolarmente dura con una mamma di nome Giovanna. Giovanna è stata protagonista di una storia lacerante e con una coincidenza al limite della comprensione umana. Ma, alla fine, il raggio di luce arriva sempre. Non si può vivere sempre nell’oscurità.
Molti anni fa la mia era una famiglia serena. Mio marito Vittorio era titolare di una piccola ditta di riparazioni idrauliche, io lavoravo come commessa part-time in un negozio di giocattoli e il resto delle mie giornate lo dedicavo con passione alla cura della casa e ai nostri due splendidi bambini, Francesco e Ilaria. Di quei tempi ricordo in particolare modo le piccole cose… le risate che facevamo tutti e quattro insieme quando il fine settimana ci recavamo in campagna dai miei, oppure al mare, e in auto cantavamo a squarciagola le canzoni dei cartoni animati, cambiando ogni volta le parole e inventandone sempre nuove…
Ricordo il sorriso un po’ sornione di Francesco, lo sguardo dolce di Ilaria, che da grande avrebbe voluto fare la ballerina, e il caldo e rassicurante abbraccio di Vittorio. È strano quanto si apprezzano le piccole cose che abbiamo perduto, e che invece, nel momento stesso in cui le stavamo vivendo ci erano sembrate del tutto normali. Eravamo felici e non lo sapevamo, o forse ce ne rendevamo conto ma davamo tutto per scontato. Poi un giorno Francesco si ammalò. All’inizio sembrava si trattasse solo di una brutta influenza, ma lui non riusciva a rimettersi e continuava a sentirsi stanco e affaticato, così il medico lo fece ricoverare in ospedale per sottoporlo ad analisi più approfondite. La diagnosi fu terribile: leucemia fulminante. Non ci fu nulla da fare. Francesco morì in un piovoso pomeriggio d’autunno, poche settimane dopo il suo ricovero. Aveva soltanto 10 anni!
Solo chi ha perso un figlio può comprendere veramente il dolore che provai, gli altri possono soltanto immaginarlo, tentare di capire, ma non è la stessa cosa. Mi sembrò che mi fosse stato strappato qualcosa dentro e desiderai tanto morire anch’io. Poi Ilaria e mio marito mi aiutarono a riprendermi. Ilaria aveva solo sette anni e ancora tanto bisogno di me, e Vittorio, nonostante fosse anche lui devastato dal dolore, con il suo amore e la sua tenerezza riuscì a farmi accettare il fatto che la vita doveva andare avanti. Niente fu più come prima, inutile dire che quella tragedia ci aveva segnato tutti, ma a poco a poco la nostra famiglia riprese un ritmo di vita abbastanza normale.
Vittorio io ci facevamo forza, e Ilaria con il tempo sembrava aver superato abbastanza bene la perdita del fratello al quale era molto legato. Si era iscritta in una palestra dove insegnavano danza classica. Frequentare quel corso la rendeva molto felice. Nella mia mente è ancora vivo il ricordo di quella domenica mattina di primavera, circa tre anni dopo la morte di Francesco. L’ultimo giorno di marzo si annunciava capriccioso. Il cielo soleggiato del giorno prima aveva lasciato il posto a nuvole basse e grigie, e il vento che soffiava dal mare era freddo e pungente. Ilaria era tutta eccitata perché doveva partecipare il suo primo saggio di danza, e guardava impaziente dalla finestra per vedere quando sarebbe arrivata la mamma della sua compagna di corso, che avrebbe accompagnato entrambe in palestra. “Tesoro, prendi la giacca pesante, fa molto freddo oggi”, le dissi io mentre trafficavo in cucina.
“Sì, mamma, me la sto infilando“, mi rispose lei con la sua solita voce squillante e sempre allegra. “Sono arrivate, io vado. Mi raccomando non arrivare in ritardo tu e papà, non vorrei iniziare senza di voi!” Aggiunse subito dopo precipitandosi giù per le scale. Vittorio quella mattina era stato chiamato urgentemente da alcuni nostri conoscenti che, a causa di un’improvvisa rottura di un tubo dell’acqua, si erano ritrovati con la casa tutta allagata. Eravamo rimasti d’accordo che ci saremmo recati insieme in palestra, non appena lui fosse tornato.
Ho pensato 1000 volte alle parole che scambiai con la mia bambina prima di vederla salire su quell’auto dalla finestra. Frasi banali, dette da un’altra stanza senza neanche guardarla da vicino, senza neanche darle un ultimo bacio, tanto sapevo che di li a poco ci saremmo viste in palestra. Ma le cose non andarono così. L’auto sulla quale era appena salita Ilaria, allegra e gioiosa, ebbe un grave incidente a pochi metri da cosa nostra. Fu investita in pieno da un automobilista ubriaco che viaggiava in senso contrario con la sua Jeep. L’amichetta di mia figlia e sua madre rimasero gravemente ferite, la mia bambina invece morì immediatamente al momento dell’urto.
Tutto quello che accadde dopo lo ricordo come un grande buco nero. Il destino crudele aveva voluto portarmi via un altro figlio e il mio già fragile equilibrio psicologico, non ancora completamente ristabilito dopo la perdita di Francesco, non resse a tanto dolore. Caddi in un profondo stato di depressione e andai alla deriva. Mio marito mi ripeteva costantemente che avrei dovuto farmi forza, che dovevamo rimanere uniti, e che se ci fossimo appoggiati l’uno all’altro, forse il dolore che entrambi provavamo sarebbe stato più sopportabile. “Ma tu che ne sai del dolore che provo io!” Gli dissi un giorno risentita dopo l’ennesimo tentativo da parte sua di farmi reagire. “Non hai portato i nostri bambini per nove mesi dentro di te, tu non li ha messi al mondo, perciò non puoi capire quello che provo io… Nessuno può capire!” esclamai escludendolo ancora una volta dalla mia vita, esattamente come stavo facendo con tutto resto del mondo da quando anche Ilaria mi aveva lasciato.
Poi un giorno mia madre venne a farmi visita. Lei e mio padre lo facevano spesso, nonostante anche a loro ripetessi sempre che preferivo stare da sola. “Lo sai Giovanna cosa ti ci vorrebbe?” dichiarò decisa. “Un altro figlio. Un bambino a cui pensare ti scuoterebbe dalla tua apatia, li costringerebbe a rialzarti e a riprendere il tuo cammino, sei ancora così giovane…” Sul momento mi sembrò un’idea assurda, mi sentivo talmente vuota dentro da non ritenermi affatto capace di dare vita a una nuova creatura. Poi però con il passare dei giorni ripensai spesso alle parole di mia madre: e se avesse ragione? Così, accarezzando quell’idea, mi riavvicinai a mio marito. Vittorio naturalmente ne fu molto felice, ma io, che dopo le disgrazie non riuscivo più a provare nessun tipo di trasporto per lui, lo feci solo perché volevo rimanere incinta. E ci riuscìi.
Luca nacque in un caldo mattino d’agosto e divenne l’unica mia ragione di vita. Bellissimo, intelligente e vivace, il mio bambino crescendo assomigliava sempre di più a Francesco, gli occhi però avevano lo stesso colore di quelli di Ilaria e il suo sguardo era dolce come lo era stato quello di sua sorella. Me li ricordava tutti e due, i miei angeli volati in cielo, e io, ormai uscita da quel brutto periodo di depressione, o almeno così credevo, mi concentrai solo su di lui. Incanalavano tutta la mia ritrovata energia esclusivamente nell’accudire Luca, di mio marito non mi importava più niente, e nonostante Vittorio facesse di tutto per recuperare il nostro rapporto, io m’allontanavo sempre di più. Un giorno Vittorio esasperato dal mio comportamento freddo e distaccato nei suoi confronti mi dette un ultimatum : o io mi impegnavo a far funzionare il nostro matrimonio, oppure tanto valeva separarsi. Decisi per la separazione.
“Giovanna, non credere che io mi sia arreso”, mormorava ogni volta che veniva a trovarci. “Aspetterò paziente che tu ritrovi la capacità di amarmi ancora, e sono sicuro che prima o poi accadrà…”
Poi un giorno che mi trovavo al cimitero per portare dei fiori sulle tombe di Francesco e Ilaria, guardando i numeri di lucido ottone che indicavano le date di nascita e di morte, mi accorsi per la prima volta di quella strana coincidenza! I miei due bambini erano morti entrambi a 10 anni, quattro mesi e sette giorni! Non ci avevo mai fatto caso perché erano volati in cielo uno in ottobre e l’altra in marzo, ma erano anche nati i mesi diversi. Sembrava proprio che per tutti e due il destino avesse voluto concedere lo stesso esatto brevissimo periodo di vita. Ne rimasi sconvolta. E se si trattasse di una maledizione scritta nel destino di tutti i miei figli?
Al momento feci di tutto per convincermi che si fosse trattato solo di una terribile coincidenza, ma più il tempo passava e più Luca si avvicinava a raggiungere l’età in cui i suoi fratelli erano morti, più nella mia mente si faceva strada una assurda convinzione. Sicuramente anche a lui, a 10 anni, quattro mesi e sette giorni, sarebbe capitato qualcosa! Così i miei pensieri, già esasperati dalle precedenti sofferenze mai del tutto superate, presero una deviazione della realtà tanto assurda quanto lucida.
Organizzai tutto nei minimi dettagli: quella volta non sarei rimasta da sola, il destino non mi avrebbe trovata impreparata, sarei andata via anch’io insieme al mio Luca! Il giorno in cui Luca compii 10 anni, quattro mesi e sette giorni scrissi una lettera di addio a Vittorio pregandolo di perdonarmi, e quando il bambino stava ancora dormendo, dopo essermi assicurata che tutte le finestre fossero ben chiuse, andai in cucina e aprì il rubinetto del gas. Poi andai a distendermi vicino a lui. Presto le esalazioni ci avrebbero portato entrambi a un graduale intontimento e la morte sarebbe sopraggiunta senza dolore. Nella mia follia, mi sentivo quasi serena: tra poco avrei rivisto i miei due bambini morti e avrei presentato loro Luca, il fratello che non avevano mai conosciuto.
Non ricordo quanto tempo passò dopo che avevo lasciato aperto il gas, so solo che mi sentivo stordita e incapace di muovermi quando mi parve che i contorni della stanza si offuscassero. L’ambiente cambiò completamente e divenne all’improvviso pieno di luce. Fu allora che li vidi. Erano proprio loro, Francesco è Ilaria: erano bellissimi, sorridenti, sembravano inondati di sole!
“Come sono felice di rivedervi… Sono già morta?” balbettai confusa.
“No, mamma, non sei morta”, mi sussurrò dolcemente Francesco. “Non è ancora giunto il tuo momento, né tanto meno quello di nostro fratello!”
“Non esiste alcuna maledizione, si è trattato solo di un’incredibile coincidenza”, intervenne Ilaria, poi continuò “Tu hai pensato al peggio perché sei ancora tanto provata da tutti i patimenti del passato, però dovresti cercare di concentrarti di più sulle cose belle che ci sono ancora nella tua vita. Pensa a Luca, che non sta affatto per morire, pensa ai tuoi genitori, che ti vogliono tanto bene, alla tua casa, ai tuoi amici e… a papà, lui ti ama ancora tantissimo, sai? Potreste essere di nuovo una famiglia serena se solo tu lo volessi” concluse teneramente.
La mia bambina sembrava così saggia!
“Ma voi mi mancate talmente tanto!” sospirai io.
“Non devi essere triste per noi”, bisbigliò Francesco. “Noi stiamo bene, sai, abitiamo in un posto dove c’è tanta luce e tanta pace!”.
Stavano davvero bene i miei due bimbi, sembravano così sereni. Per un attimo guardai i miei figli tutti e tre insieme: avevano la stessa precisa età e mi sembrarono i bambini più belli del mondo!
Mi soffermai a guardare Luca che, accanto a me, stava ancora dormendo. Stavo quasi per svegliarlo, volevo che conoscesse i suoi fratelli, quando vidi Francesco e Ilaria allontanarsi da noi. Si diressero verso la finestra e la spalancarono.
“Mamma, adesso noi dobbiamo proprio andare”, dissero quasi in coro. “Tu non darti pena per noi, l’hai visto, stiamo bene! Cerca solo di apprezzare di più le cose belle che ti circondano e che possono renderti ancora felice…” Dopo queste parole, vidi le loro figure luminose dissolversi a poco a poco, fino a scomparire.
“Mamma, mamma!” La voce di Luca mi scosse dal mio torpore. “Si è aperta la finestra, fa un freddo cane qua dentro!” esclamò infilandosi completamente sotto le coperte. Mi ci volle un po’ prima di realizzare dove fossi e cosa fosse accaduto, poi mi ricordai del piano folle che avevo messo in atto. Mio Dio! Devo correre subito a chiudere il rubinetto del gas! pensai, precipitandomi verso la cucina. Grazie alla finestra aperta nella stanza di Luca, la sostanza tossica che aveva riempito l’appartamento era uscita completamente, per fortuna senza stordire mio figlio e me. “Tesoro, ti senti bene? Respiri bene?” Chiesi preoccupata a Luca “Certo che sto bene! Però mi sentirò meglio quando avrai chiuso quella finestra. Ma come avrà fatto ad aprirsi da sola?” balbettò lui guardandomi con aria interrogativa.
“Non si è aperta da sola, l’hanno fatto due angeli” sussurrai tra me.
Il mio non era stato solo un sogno o un delirio dovuto alle esalazioni che avevo respirato. Gli avevo visti veramente i miei due angeli, ed erano stati loro che avevano aperto quella finestra. Io l’avevo chiusa dall’interno talmente bene, che neanche il vento forte di quel mattino di dicembre avrebbe potuto aprirla!
Loro ci avevano salvato la vita!
Sentii dentro di me una grande pace, era da tempo immemorabile che non provavo una sensazione del genere. Francesco e Ilaria avevano ragione, le sofferenze avevano inaridito troppo il mio cuore, e, a parte quell’attaccamento esagerato che provavo sempre nei confronti di Luca, e che mi aveva portato a perdere la ragione, non avevo preso in considerazione più niente del resto del mondo da un’infinità di tempo. Forse era giunto il momento che ricominciassi a farlo!
“Vittorio, sono Giovanna”, dissi poco dopo al telefono mentre strappavo in 1000 pezzi la mia lettera di addio.
“Mi stavo chiedendo se oggi pomeriggio, visto che è domenica, tu fossi libero… potremmo uscire tutti e tre insieme, magari a vedere un film.”
“Sono liberissimo,” esclamò immediatamente lui. “Giovanna, sono contento che tu mi abbia chiamato”, aggiunse subito dopo.
“Anch’io lo sono” bisbigliai appena.
Ero consapevole che non sarebbe stato facile tornare a essere la donna di un tempo, e forse non ci sarei mai riuscita, ma quello era pur sempre un inizio…
Marco Cesati Cassin- presenze positive
DUE ANGELI