Studio della premorte nei bambini
Il dottor Morse, pediatra americano, ha aperto la strada allo studio sulla premorte nei bambini. La sua è una ricerca particolarmente importante, perché tratta una popolazione innocente, soggetti che non sono stati esposti a grandi condizionamenti religiosi o culturali: il fatto che la loro esperienza sia uguale a quella degli adulti assume un significato particolare.
Ecco come il dottor Melvin Morse racconta la sua storia:
L’interesse per le esperienze di premorte nei bambini nacque in me quando lavoravo come interno presso un ospedale di Pocatello, nell’Idaho (Nord-Ovest USA).
Ero di turno un giorno, quando fu ricoverata una bambina vittima di un principio di annegamento. Che caso sorprendente!
Era andata a nuotare in una piscina parrocchiale in un giorno di gran folla e, quando la piscina si fu svuotata dalla gente, lei era lì che giaceva sul fondo. Un medico che si trovava lì per caso riuscì a iniziare il processo di rianimazione sul posto stesso. Quindi la bambina fu portata in ospedale e toccò a me visitarla.
Era in coma profondo: pupille fisse e dilatate e, letteralmente, erano scomparse le cornee. Pensavo che fosse spacciata, ma dovevo farle la tac per capire in che stato si trovasse realmente. Per far questo, dovetti inserirle una cannula in vena per iniettare il colorante ed avere il quadro chiaro del cervello. Non dimenticherò mai quella scena!
V’era sangue che sprizzava dappertutto e noi eravamo accerchiati dai parenti in preghiera.
In cuore mio, non v’era dubbio che la bambina avesse subito danni gravi al cervello. Mi sbagliavo: nello spazio di tre giorni si riprese perfettamente.
Ora, quand’ero all’università, m’insegnavano che bisognerebbe porre domande ad ampio spettro, mai fare domande alle quali si possa rispondere con un sì o con un no: questa è la mia rovina!
Il mio socio visita 50 pazienti al giorno, io non riesco a vederne tanti, perché divento troppo loquace e voglio sentire tutta la storia. Comunque, qualche tempo dopo che era stata dimessa dall’ospedale, rividi quella bambina per una visita di controllo e le dissi: “Raccontami cosa è successo mentre stavi in piscina.”
volevo sapere se avesse avuto un collasso, se avesse sbattuto la testa, o altro. Invece la risposta fu: “Vuoi dire quando sono andata a sedere in braccio al Signore?”
Perbacco, pensai, mentre dicevo: “Questo è interessante! Spiegamelo bene.” Inutile dire che il racconto mi colse alla sprovvista.
La descrizione di quella bambina di sette anni fu così dettagliata da sbalordirmi.
Si trovava in un luogo buio disse, ma non sapeva dov’era né come ci fosse arrivata. Non poteva parlare. Era chiaramente in una specie di tunnel. Poi le venne incontro quella donna: aveva capelli lunghi e dorati e si chiamava Elisabetta.( Il suo Angelo Custode), Quando la donna la prese per mano, il tunnel si fece ancora più buio e la bambina scoprì che riusciva a camminare: insieme, andarono in un posto che nella sua percezione era il cielo. Il posto, mi disse, era come un cerchio chiuso, ma lei non poteva guardare aldilà, perché tutt’intorno v’era un recinto pieno di fiori.
Per metterla alla prova, le chiesi: “Che vuol dire morire?” e lei mi rispose: “Poi vedrai: il paradiso è divertente”. Non l’ho mai dimenticato: lo disse con tale sicurezza! Poi mi guardò dritto negli occhi e ripete: “Vedrai”.
Quindi, le chiesi di nuovo: “Che significa morire?”. E lei rispose: “Ma quello che è successo a me non era mica morire, perché quando uno muore sta sotto terra in uno scatolo”.
Le chiesi se non fosse stato un sogno:” No” rispose” E’ successa veramente ma non era la morte! La morte è quando ti mettono in uno scatolo sotto terra!”.
Tutto ciò era perfetto, perché corrispondeva con l’idea della morte di una bambina di sette anni.
Quindi, mi disse, incontrò Gesù che la portò dal Padre. Questi gli disse qualcosa come: “In verità non dovresti essere qui. Vuoi restare o puoi tornare indietro?”. È lei rispose che voleva restare. Allora Egli cambiò la domanda: “Non ti piacerebbe rivedere la mamma?”.
A questo, lei rispose di sì e si svegliò.
Appena sveglia, chiese agli infermieri notizie dei suoi amici. Le sue prime parole furono: “Dove sono quei due signori?”. Si riferiva alle persone incontrate in cielo, ma naturalmente quelli dell’ospedale non capirono cosa intendesse.
Parlando con gli infermieri, ebbi la conferma di ciò: mi dissero che appena svegliata, la bambina aveva cominciato a chiedere di gente che non aveva alcun nesso con lei e della quale nessuno sapeva niente. Quindi, era ricaduta in uno stato di incoscienza e quel ricordo era del tutto svanito. In effetti, non aveva parlato più dell’episodio fino al momento della visita di controllo.
Era un’esperienza così viva che suscitò tutto il mio interesse. Decisi che vi avrei scritto sopra un articolo, giacché nella letteratura medica non esisteva alcuna descrizione del fenomeno in un bambino di quell’età. Intervistai altre famiglie di bambini che avevano avuto esperienze di premorte, sulla loro religione e sul loro concetto della morte, per vedere se il fenomeno avesse un’origine culturale.
Certo è che non vi era nulla di culturale nel caso di quella bambina: può sembrare un fenomeno culturale a prima vista ma, da un’indagine approfondita, risulta che gli insegnamenti ricevuti dalla piccola a riguardo della morte e dell’aldilà non hanno nulla a che vedere con la sua esperienza.
Le era stato detto che la morte è come una barca a vela, che quando si muore si sale su questa barchetta e si attraversa il mare per raggiungere un’altra terra: certo non vi era in questo l’idea di un angelo custode, di qualcuno che ci porti in cielo, né del poter decidere se tornare o meno sulla terra. Nulla, nell’esperienza della bambina, ricordava gli insegnamenti sulla morte ricevuti in famiglia.
Lavoravo per una struttura che si occupava dei trasporti aerei in ospedale: ebbi così l’opportunità di occuparmi di decine di bambini risuscitati, come ordinaria amministrazione.
Chiesi al capo della struttura il permesso di studiarne le esperienze di premorte in modo informale: egli accettò con entusiasmo e io potei intervistare ogni singolo bambino sopravvissuto a un arresto cardiaco nell’arco degli ultimi 10 anni. Questo studio durò circa tre anni e mi portò a sfogliare centinaia di cartelle. Nella mia ricerca, non inclusi un solo soggetto al di sopra dei diciott’anni, intervistai tutti coloro che erano sopravvissuti all’arresto cardiaco, tutti quelli che avevano avuto uno stato di coma fino ai 4° della scala Glascow e tutti quelli con un decorso di malattia che avrebbe potuto portarli alla morte.
Nel frattempo,, lessi tutto il materiale disponibile sulla spersonalizzazione transitoria, La teoria secondo la quale la mente, di fronte a una situazione di pericolo, ci giocherebbe degli strani tiri. Lo feci perché un medico mi disse che vi avrei trovato la spiegazione delle esperienze di premorte, ma trovai che due fenomeni non si assomigliavano affatto. Quindi, analizzai tutti i narcotici che erano stati somministrati ai miei pazienti e lessi le statistiche degli effetti di quei tipi di medicinali: non mi sembravano affatto simili all’esperienza di premorte. Comunque, volli constatare la cosa di persona.
Fra tutti i miei pazienti ve n’erano tanti che non erano in punto di morte, ma la cui malattia aveva un decorso particolarmente difficile. Se uno di questi avesse avuto un’esperienza di premorte per uno dei seguenti motivi: narcotici, droghe, depersonalizzazione transitoria, avrei fatto il punto della situazione.
Volutamente, scelsi dei casi gravissimi. Avevo una paziente da quattro mesi paralizzata dalla testa ai piedi: aveva sofferenze così forti che prendeva tutti i narcotici e gli stupefacenti possibili, compresi il Valium, il Demerol e la morfina. Inoltre veniva curata con trattamenti ipnotici. Non v’era caso più adatto di questo: voglio dire, se non fosse capitato a lei una sorta d’esperienza di premorte da depersonalizzazione transitoria, non sarebbe capitato a nessuno.
Ebbene: non accadde nulla. Di tutto il gruppo che avevo scelto, nessuno ebbe un’esperienza simile a quella di premorte, anzi, nessuno ebbe esperienza alcuna.
Nell’altro gruppo invece quelle con le persone vicino alla morte, tutti sperimentarono il fenomeno. Ripeto, tutti. Chi percorse un tunnel, chi osservò il proprio corpo dall’esterno, chi vide gli esseri di Luce: tutti praticamente ebbero l’identica esperienza.
In un modo nell’altro v’era sempre una luce in questi casi. Fu affascinante l’esempio di una paziente che, secondo il padre, era addirittura diventata luminescente: quell’uomo, dopo essersi tuffato a 10 m di profondità per salvare la figlia, disse che l’aveva trovata soltanto perché era inondata da una luce bianca.
Un altro paziente raccontò che, mentre era morto, non aveva visto né luce né tunnel, ma vedeva il proprio corpo illuminato: dal suo mondo di tenebre lassù, aveva abbassato lo sguardo e aveva visto il suo corpo immerso in una morbida luce bianca, poi aveva sentito una scossa elettrica e vi era stato risucchiato dentro. Nessuna emozione, nessuna sensazione, né bella né brutta: era solo successo.
La maggior parte di quei bambini non pensava che fosse l’evento più importante della loro vita, come in realtà era ai miei occhi. Loro lo prendevano come un fatto normale: ecco che succede quando si muore. Dal lavoro svolto sui bambini ho tratto un paio di conclusioni:
A) Sono convinto che chiunque abbia subito un trattamento di rianimazione cardiaca abbia avuto in qualche modo un’esperienza di premorte, che fosse l’abbandono del corpo o l’ascesa verso l’essere di luce. L’unico motivo per cui alcuni non lo ricordano è l’amnesia causata dai narcotici. Sono giunto a tale conclusione perché, nella mia casistica, i pazienti che hanno preso minori quantitativi di droghe sono quelli che hanno avuto l’esperienza più forti. La spiegazione c’è, se ci pensate: chi è preso dai fumi della morfina ha minori probabilità di ricordare di chi non ha preso tanti medicinali che possono interferire con la memoria.
B) Chi studia medicina apprende che bisogna sempre cercare le spiegazioni più semplici ai problemi sanitari. Dopo aver esaminato tutte le altre spiegazioni date al fenomeno delle esperienze di premorte, ritengo che la cosa più semplice sia considerarle delle vere e proprie escursioni nell’aldilà. Nessuna delle contorte spiegazioni fornite da psicologi o da fisiologi sembra abbastanza soddisfacente.
( Melvin Morse – La luce oltre la vita di Raymond Moody)