Racconto di un Angelo che ho Amato
Mia moglie Rebecca e io abbiamo passato nove anni della nostra vita insieme al nostro adorato Martin, un cane lupo. Lui è stato il nostro primo bambino nonché il nostro migliore amico, sempre pieno di vitalità, energia e amore. Martin aveva circa un anno quando lo portai a casa. Era così fragile e magro da sembrare appena nato. Il gestore del canile dove lo prendemmo ci spiegò che da cucciolo era stato maltrattato: i proprietari lo lasciavano all’aperto giorno e notte insieme ad altri cani più grandi e aggressivi che gli rubavano tutto il cibo costringendolo a masticare oggetti contenenti una pittura base di piombo, che gli aveva procurato seri problemi di salute.
L’uomo mi suggerì di scegliere un animale più sano, ma nell’istante stesso in cui avevo guardato Martin negli occhi avevo capito che mi sarei portato a casa solo lui. Nei nove anni che restò con noi, Martin si lasciò docilmente curare per il suo avvelenamento. Era il compagno più fidato che la vita poteva offrirci. Non ci ha mai dato problemi nei nostri spostamenti in Inghilterra. Essendo entrambi avvocati, io e mia moglie ci muovevamo a seconda delle esigenze lavorative. Gli piaceva rincorrere la palla, anche se ho il sospetto che lo facesse più che altro per accontentarmi, perché nove volte su 10 si distraeva vedendo gli uccelli svolazzare o le margherite in fiore nei campi. Ho sempre saputo che le aspettative di vita di Martin erano ridotte a causa dei maltrattamenti subiti da cucciolo, ma fu comunque uno shock vedere che, un anno prima di morire, le zampe posteriori cominciavano a cedere sotto il peso del corpo. Il veterinario mi disse che a causa di un difetto neurale aveva difficoltà a spostare una zampa davanti all’altra, ma preferì non azzardare previsioni sull’aggravarsi delle sue condizioni.
Mia moglie e io ne parlammo, ma pur essendo conci della sua sofferenza non che la sentivamo di farlo sopprimere. Gli volevamo bene come se fosse un figlio. Qualche mese dopo anche le zampe anteriori diedero i primi segni di cedimento e per noi divenne penoso vedere Martin trascinarsi per terra alla fine fu mia moglie a chiamare veterinario (lei è sempre stata più forte di me) il quale assicuro che sarebbe passato l’indomani per porre fine alle sue pene. L’ultima notte la passai accanto a lui, sdraiato sul pavimento del soggiorno. Non volevo perdere nemmeno un minuto del poco tempo che potevo stare con lui. Al mattino mi svegliai con l’intenzione di preparargli la pappa, ma poi mi ricordai della futilità del mio gesto. Sarebbe morto prima ancora di digerirla. Rimasi lì, col suo testone in grembo, a sentirlo russare sonoramente mentre lo accarezzavo. Un traditore, ecco cosa ero! Sentii arrivare il veterinario. Martin sbuffò cercando di sollevarsi dolorosamente sulle zampe. Lo accarezzai ancora e scoppiai a piangere. Una reazione egoistica la mia, visto che avrei dovuto essere io quello forte, quello che lo sosteneva. Lo presi in braccio e lo portai di sopra, nella camera degli ospiti che negli anni era diventata quella di Martin. Lì erano raccolte tutte le sue cose preferite. Aprii la finestra e una brezza fresca mi investì il viso. Sentii mia moglie che accompagnava al piano superiore il veterinario. Era questione di pochi momenti.
Il veterinario era una donna premurosa e gentile, che mi disse esattamente quello che mi aspettavo di sentire. Martin non si ribellò quando lei gli fece l’iniezione. I suoi occhi fissi nei miei cominciarono ad appannarsi. Lo abbracciai stretto, consolato dal fatto che almeno aveva accanto qualcuno che l’amava. Eppure, quando gli tolsi il collare, ebbi l’impressione di averlo tradito. Trasportai Martin di sotto e lo seppellimmo in giardino. In seguito, turbati da silenzio assoluto che regnava in casa, mia moglie e io decidemmo di raggiungere in macchina dei vicini campi per prendere una boccata d’aria fresca. Ci portavamo spesso Martin. Durante il tragitto nessuno dei due aprì bocca e quando arrivammo avevo gli occhi velati di lacrime. Spensi il motore e diedi a mia moglie un abbraccio rassicurante. Rimanemmo seduti in auto per qualche minuto. Nessuno dei due voleva scendere: avevamo bisogno entrambi di un po’ di tempo per riflettere. Anche se Rebecca continuava a ripetermi che avevo preso la decisione giusta, e dentro di me lo sapevo anch’io, non potevo fare a meno di considerarmi un traditore.
Alla fine decidemmo di allontanarci da quel posto che evocava tristi ricordi. Misi in moto e in quell’istante la radio si accese. L’ho considerato una stranezza dato che nel tragitto di andata non l’avevamo ascoltata. Ma la cosa più stupefacente era che la canzone trasmessa in quel momento era “Cruel to be kind”(è crudele essere gentili). La coincidenza mi strappò un sorriso. Era come se Martin mi stesse mandando un messaggio. Ma il vero miracolo fu che una settimana dopo la morte di Martin Rebecca rimase incinta. Erano anni che cercavamo di avere un figlio e dopo tre tentativi di procreazione assistita andati a vuoto ci eravamo convinti di non essere destinati a fare i genitori. Nei primi tre mesi Rebecca ebbe molti problemi e il medico che la curava non era sicuro che avrebbe portato a termine la gravidanza.
Io ero terribilmente ansioso, lei invece no. Mi disse di sapere che sarebbe andato tutto bene, perché le era apparso Martin in sogno dicendo che sarebbe stato l’Angelo custode di nostro figlio. David Martin è nato il marzo successivo e ora è un bambino sano e allegro di due anni e mezzo. A volte sono convinto che il nostro piccolo Martin giochi con l’altro suo omonimo. Spesso va dritto alla sua tomba, anche se non c’è nessuna lapide a contrassegnarla, e gioca lì vicino ammirando le margherite o cercando inutilmente di acchiappare le farfalle, esattamente come faceva Martin.
Theresa Cheung – Un Angelo ha sussurrato il mio nome