NASCERE, UNA SCELTA O UN DESTINO ?
Una domanda importante, che rivolgo spesso durante la seduta di ipnosi regressiva, una volta che l’ho riportato indietro al secondo mese di vita intrauterina, e che lo coglie di sorpresa, è se ha scelto di nascere.Infatti da un punto di vista razionale non ci si pone quasi mai questo interrogativo, dato che in genere crediamo che la nascita non dipenda affatto da noi. A differenza di quanto replicheremo in stato di veglia, la risposta invece è quasi sempre positiva. Molto rari i dubbi. Qualcuno dice addirittura: “Si , mi fa rabbia ammetterlo, ma ho scelto io”. Subito dopo chiedo al soggetto se si è scelto sua madre e suo padre. “Si ho scelto mia madre: non poteva essere che lei”. Oppure “Mio padre è bellissimo: è stato un grande amore. Invece per mia madre provo un astio che mi blocca e che deriva da un’altra vita. Tuttavia ho scelto entrambi, perché in questa famiglia riceverò dei valori importanti”. Il più delle volte queste risposte non sono condizionate dal rapporto instaurato nel corso della vita: infatti c’è chi ritorna sulla terra richiamato dal genitore a cui è più legato affettivamente e a volte da quello con cui ha più problemi. Ma ecco un’altra sorpresa: mentre il soggetto si trova nello spazio e sperimenta la discesa sulla terra, poco prima di incarnarsi, ripeto la stessa domanda “Hai scelto di nascere?” Seguita da: “Sei solo o ti guida qualcuno?”. Ed ecco che molti si vedono scendere da una dimensione non ben precisata, scortati da una o due entità (simili a ombre bianche, a volte asessuate, a volte con caratteristiche maschili o femminili, che percepiscono a livello energetico), che li accompagnano fino sul piano materiale, affinché possano incarnarsi. La scelta di venire al mondo talvolta è solo un’acquiescenza, come se accettassimo una proposta che anime più evolute ci fanno per il nostro bene per la nostra evoluzione. Se qualcuno rifiuta, sperando di poter rimanere in eterno in questo grembo cosmico dove tutto è pace, subito si sente sospinto da un energia fortissima oppure da un’entità che lo sollecita più o meno dolcemente lungo una specie di toboga, o dentro un vortice, che lo attira nel ventre materno.“La mia non è stata una vera e propria scelta: ho sentito che non potevo far altro che accettare di nascere: è un passaggio obbligatorio per poter proseguire nel cammino evolutivo”, dice qualcuno. Lo stesso vale per la scelta dei genitori. Alcuni avvertono un disagio inspiegabile, un rifiuto fortissimo verso il ventre che li racchiude: “E’ terribile, non mi piace stare li”, racconta una donna che ha avuto rapporti conflittuali con la madre fin da piccola.Oppure: “L’ho sempre rifiutata”, spiega un altra donna “Per me era un’estranea”. Però alla domanda “l’hai scelta tu?” La risposta senza esitazione e “si.”
Molti sentono che non potevano che optare per quella madre o quel padre, indipendentemente da quello che è stato il rapporto affettivo nel corso della vita, come se ci fosse un legame antecedente, un forte affetto o anche solo un debito da saldare. Alcuni sentono di essere stati inviati a quei genitori affinché facessero esperienza: “La mamma ha paura perché papà non mi vuole”, dice una ragazza. “Ma io so che dovevo nascere per insegnare a mio padre ad accettarmi”. Ed ecco la drammatica testimonianza di una bimba(nel grembo materno) che verrà abbandonata piccolissima una volta nata: “Provo un grande dolore: Lei non mi vuole, io lo so e non mi vuole neanche dopo. Sento un grande sconforto, credo già di sapere che cosa mi aspetterà dopo la nascita”.
LA VITA PRENATALE
La psicologia prenatale ha dimostrato che il feto attiva tutti i sensi fisici più o meno già dalla settima settimana di gestazione, e contemporaneamente risveglia la propria sensibilità, l’intelligenza, la capacità di recepire, di apprendere e di memorizzare. Alla 13ª settimana, secondo le ricerche mediche, la nuova creatura ha già una sua individualità, che manifesta con reazioni, comportamenti e preferenze. Inoltre, con l’apporto delle memorie emerse durante il Rebirthing, la Respirazione Olotropica o le esperienze di Terapia R , sappiamo che il neonato, che fino a poco tempo fa molti ritenevano simile a una tabula rasa, è invece un individuo completo a tutti gli effetti, dotato di una coscienza, e quindi già consapevole di sé. E anche se è incapace di esprimersi verbalmente, fin dal ventre materno è in grado di riconoscere e di interagire con i genitori e ancor più con i fratelli gemelli con cui condivide lo spazio uterino. Molti, quando s’inizia la prima regressione e si chiede loro di ritornare nella prima infanzia, si bloccano, affermando con decisione di non ricordare, che le loro immagini si fermano ai tempi della scuola o al massimo dell’asilo.
Ecco invece la relazione di una seduta tipo, in una gravidanza senza problemi. Il soggetto è una donna.
Al comando: “torna indietro nel tempo, fin dentro nel ventre materno, all’ultimo mese di gravidanza”, il soggetto rallenta il respiro e vive una lunga pausa silenziosa, come se si stesse orientando in una nuova situazione. Piano piano si stacca dalla percezione del corpo attuale, che a volte non sente più, per entrare con la memoria e i cinque sensi nel corpo che si sta formando dentro il ventre materno.“Cosa senti?”
“C’è una grande pace, un silenzio profondo. Tutto è ovattato”, risponde una donna.
“Come ti percepisci?”
“Sono raggomitolata lo spazio è stretto, sono un po’ scomoda, ma sto bene, tranquilla, in attesa”.
A volte c’è un senso di gioia di divertimento :”mM viene da ridere mi sento come un bimbo che si diverte a girare: giro su me stessa come senza gravità”.
Molti si sentono galleggiare, nell’acqua o nello spazio, come se osservassero il proprio corpo da un’altra dimensione.
“Percepisci colori, suoni, sapori?”
“C’è un colore chiaro, come se filtrasse della luce i rumori sembra quello del battito cardiaco.”
“Torna più indietro, tra il quinto e il sesto mese” unto
“adesso sono più piccola, ma anche comoda, mi muovo con più facilità. Anzi, mi sembra quasi di nuotare. Sono a mollo nell’acqua dentro un contenitore rotondo. Sto bene, però non avrei voluto scendere: perché mai ho scelto di venire? Nello spazio ero nella luce e stavo bene”.
“Percepisci colori, suoni, sapori?”
“È tutto più scuro. Il rumore è quello dell’acqua e insieme del battito cardiaco che a volte rimbomba”.
“Se percepisci tua madre, la puoi vedere dall’esterno o è come un contenitore?”
“Mia madre è felice, si accarezza la pancia”.
Qui le esperienze sono spesso diversificate: c’è chi percepisce solo se stesso, le proprie sensazioni, l’ambiente in cui si trova , ignaro della presenza materna, quasi lei fosse solo un contenitore, che protegge dal mondo esterno. Per questo, sapendo anche che l’anima dell’affitto non è del tutto agganciata al corpo, una delle domande che ho introdotto nel percorso intrauterino e:
“Puoi uscire dal corpo e vedere tua madre e l’ambiente in cui si trova dall’esterno?”
C’è chi dorme, aspettando solo la maturazione del proprio corpo, e quindi non si sposta dal ventre; e chi ha la sensazione di poter uscire e di vedere la realtà dall’esterno. In questo caso porta l’attenzione soprattutto sulla figura della madre , di cui descrive l’aspetto nei particolari, la pettinatura, l’abbigliamento e a volte anche il luogo in cui lei si trovava, magari una casa che è stata cambiata non appena il piccolo è nato e che quindi non potrebbe ricordare.
“Ma come giovane e anche bella” si sente dire in questo caso, spesso con un senso di stupore e commozione. Questo vissuto fa presupporre che l’individuo è un’anima probabilmente abbastanza evoluta che si porta esperienze simili dal passato, sperimenti OBE (l’uscita dal corpo) fin dal periodo prenatale.
“E’giovane, scattante, sempre indaffaratissima”, mi ha detto una ragazza. “È come se qualcuno me la indicasse dicendomi: dato che dovrai fare questo viaggio con lei, incomincia a guardarla, a studiarla”.
Continuando con l’esperienza di regressione, si torna ancora più indietro, tra il secondo e il terzo mese.
“Sono piccolissima. Mi sento come un girino che nuota in un grande spazio scuro. Non c’è luce, è tutto buio ma molto piacevole”.
In pratica si potrebbe spingere l’individuo a ricordare giorno per giorno. Alcuni si rendono anche conto fin dal ventre materno di essere scesi sulla terra con un compito, anche se non riescono a individuarlo esattamente. Qualcuno dice che deve insegnare l’amore ai suoi, qualcun altro sente molto genericamente di dover pagare un debito del passato. “Avverto vicino a me l’ Entità che mi ha accompagnato sulla terra. E la percepisco come una luce, ma sento che è un’energia maschile. Mi dice che devo risolvere delle esperienze che ho lasciato in sospeso e che avrò la possibilità di farlo”. Oppure:
“Il mio progetto è di crescere. So che non sarà una vita facile e vorrei ritornare nella luce”. O ancora:
“Devo imparare ad affrontare un sacco di cose, ad amare la vita terrena e gli altri, a trovare un’armonia tra la mia anima è il mio corpo”.
A volte il vissuto della vita prenatale non è affatto confortante. La memoria riporta un periodo difficile, a causa di una posizione disagevole, un ambiente ostico, o più spesso un carico di emozioni troppo forti. Queste sensazioni negative vengono spesso percepite indirettamente attraverso la sensazione di freddo, che simbolicamente rappresenta la mancanza di calore umano, l’amore. Un’altra esperienza traumatica che può condizionare l’individuo facendogli avvertire nel corso dell’esistenza una sensazione continua di perdita, è sentire accanto se la vicinanza di un’altra entità, un gemello non sopravvissuto oppure un fratello concepito precedentemente e poi deceduto, che ha lasciato la memoria del suo passaggio nel ventre materno. In questi casi, la persona si porterà dietro come un’ombra oscura una memoria di morte che potrebbe impedirgli di vivere serenamente. Sia durante l’infanzia, sia in età adulta, questo individuo proverà un vago e ovviamente inconscio senso di colpa per essere sopravvissuto al fratello, come se avesse usurpato il posto e non avesse il diritto di esistere. La maggior parte delle emozioni negative riguardano però il vissuto materno, che viene trasmesso al piccolo come per osmosi. Genitori con traumi di guerra, problemi di povertà, persecuzione razziale, quelli che sono sopravvissuti all’Olocausto, che hanno perso un precedente figlio o che hanno problemi irrisolti riguardo alla sopravvivenza di qualunque tipo possono inconsciamente trasmettere le loro paure ai loro figli. Forse è per questo che la psicologia prenatale ipotizza che madre e figlio abbiano in questo periodo un’unica psiche: tuttavia secondo la mia esperienza si tratta di due entità psichiche momentaneamente unite in un mutuo scambio dovuto al loro rapporto di contiguità. “Sto male ma non capisco in che modo” E a una sollecitazione di individuare la fonte del disagio la risposta è “Sì, forse è mia madre che non si sente bene”. Ecco allora che se per un qualunque motivo la madre sta male,fisicamente o psicologicamente, se vive forti conflitti o rifiuta la gravidanza, se subisce delle violenze o prova una forte emozione, il piccolo percepisce come un’ondata che lo travolge e da cui non può difendersi. E queste emozioni che vive di riflesso spesso lo condizioneranno nell’età adulta.
“Mi sento molto a disagio a causa dell’ambiente ostile, i nonni non mi vogliono”, mi dice una donna. “Anche se mi sento al caldo, protetta, percepisco il rifiuto e l’angoscia di mia madre”.
“Provo una sensazione di oppressione sul cuore, mi sento schiacciare”, dice un ragazzo, con forti problemi di insicurezza, che si è sempre sentito rifiutato, soprattutto dal padre. Quando gli chiedo la causa del suo disagio, focalizza la situazione al di là della barriera corporea: “Sento la voce dei miei che stanno litigando, so di essere io la causa. Mio padre non mi vuole. Ora capisco perché nella vita ho sempre cercato di rendermi invisibile, per non dare fastidio”.
“Mia madre si vergogna della pancia, e anch’io”, spiega una ragazza. “Non è contenta, si nasconde, e io mi sento un’intrusa”. E intrusa si sentirà anche in seguito, tanto da vivere nell’ombra prima dei genitori e poi del marito, subendo per anni la personalità altrui senza trovare la forza di reagire, come se non avesse il diritto di farsi sentire. Proseguendo nel lavoro regressivo, scopriremmo che il suo atteggiamento non dipende solo dai genitori, ma da una vita precedente in cui era stata privata della libertà. Questo per sottolineare che la nostra vita, il nostro destino, il nostro carattere non possono essere influenzati da un unico episodio, per quanto importante. Ogni elemento e come l’anello di una lunga catena che inizia con la creazione e si estende nello spazio-tempo della nostra evoluzione. E ogni anello proprio come accade nella catena del DNA, riceve le informazioni da quello immediatamente precedente e da tutti quelli che sono venuti prima ancora.
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Manuela Pompas – Reincarnazione, una vita, un destino