Le scelte nella nostra vita

Ci sentiamo predestinati quando perdiamo di vista le scelte fatte in passato, in quanto è abbastanza facile dimenticare alcune delle scelte che ci hanno condotto alla nostra situazione attuale. Il bambino che si lamenta che deve stare tutta la domenica sera chiuso a fare i compiti ha dimenticato per sua convenienza che la sua scelta è stata quella di non farli prima. Contemporaneamente siamo più inclini a dimenticare le scelte fatte in passato quando queste hanno condotto a spiacevoli alternative del presente.

I nostri ricordi generalmente funzionano in modo molto più efficace quando dobbiamo scegliere nel contesto di scelte precedenti del tipo costruttivo e quindi dobbiamo affrontare possibilità più felici nella nostra catena di scelte. Tuttavia accade che in tutta onestà non possiamo ricordare scelte fatte in passato perché si tratta di scelte fatte in una vita precedente che vengono quindi nascoste alla nostra coscienza consapevole. È in questo caso che ci sentiamo più predestinati o manovrati dal destino. Il fatto quindi che abbiamo dimenticato una scelta passata diminuisce la nostra responsabilità? Un evento diventa predestinato semplicemente perché non ci ricordiamo di averlo causato? Ed ancora più importante, una predisposizione che deriva da scelte passate  elimina la nostra libertà di scelta del presente? Un’analogia può aiutarci a rendere chiare le risposte a queste domande. In un certo senso la nostra libertà è limitata dalle scelte effettuate in passato.

Molti di noi prima o poi si sono sentiti intrappolati in un errore logico come questo: Qualcuno di cui siamo innamorati ha intrapreso un lungo viaggio in macchina e si attende il suo arrivo per le 10 di sera. Questa persona ha promesso che telefonerà per avvisare che è arrivata, per cui iniziamo ad aspettare la telefonata a partire dalle 9:30. Iniziamo a preoccuparci verso le 10:30, quando la telefonata non è ancora arrivata. A questo punto s’inizia pregare: “Mio Dio, fà che non abbia avuto un incidente”. A volte in questi momenti la nostra preoccupazione immediata ci rende ciechi a tal punto che non ci rendiamo conto che stiamo facendo una richiesta del tutto illogica a Dio. Altre volte non si può fare a meno di essere consapevoli della realtà: nel momento in cui si sta pregando in questo modo, la persona che si ama o ha avuto un incidente o non lo ha avuto.

Il momento in cui bisognava pregare per evitare un incidente automobilistico era quando il viaggio era appena iniziato. Pregare che qualcosa avvenga o non avvenga è aspettarsi che Dio muti ciò che è già realtà per rispondere alla nostra preghiera. Mentre possiamo affermare che Dio possiede la capacità di fare qualsiasi cosa scelga, è vero anche che Dio non può contraddire se stesso. Per cui ci sono cose che Dio non può fare, e non perché non ne sia capace, ma perché vanno contro ogni logica. Ad esempio, sarebbe logicamente impossibile per Dio creare un cerchio quadrato. Questo non vuol essere una riflessione sull’onnipotenza di Dio, ma su una contraddizione inerente al fatto richiesto. In modo simile, disfare qualcosa che è stato fatto o è successo, significherebbe una contraddizione della legge di causa ed effetto che, come abbiamo già visto, scaturisce dalla natura propria di Dio. Questo flusso armonico di causa ed effetto in questo universo è un’espressione di Dio, e sospendere questa legge fa sì che Dio venga coinvolto nell’impossibilità logica di negare se stesso.

Quando ci si aspetta cose simili da Dio, ragioniamo in termini di magia, ovvero ci aspettiamo che i nostri desideri trascendano la legalità della realtà. Che cosa ha a che fare tutto questo con la nostra libertà di fronte al destino apparente? Quando ci aspettiamo che il nostro libero arbitrio sia in grado di cancellare la realtà che abbiamo costruito attraverso le nostre scelte, rimaniamo intrappolati nello stesso mondo magico in cui ci si aspetta che Dio cambi ciò che già è, in risposta alle nostre preghiere. In un certo senso siamo limitati da ciò con cui abbiamo a che fare quotidianamente, un corpo che non è in  forma o non ha la salute che vorremmo, un matrimonio o un’unione dove le cose non vanno così bene come vorremmo, un figlio che ci dà più preoccupazioni che soddisfazioni, una vita sociale che è fatta più di solitudine e di senso di inadeguatezza che di compagnia e senso di realizzazione.

Tutte queste sono condizioni che rappresentano la miscela di scelte passate fatte sia in questa vita che in quelle precedenti. Aspettarsi che le situazioni indesiderate mutino con un semplice battito di mani è aspettarsi qualcosa di magico, non la libertà. Tuttavia trovarsi incastrati in circostanze spiacevoli non significa che sia il nostro karma a sopportare con pazienza il nostro destino. Una donna una volta mi ha chiesto privatamente durante un seminario se il modo migliore per soddisfare il suo karma era di sopportare la violenza fisica del marito. Dalla sua domanda traspariva che l’idea che aveva del libero arbitrio si era spinta fino al punto di convincerla che la situazione attuale era il prodotto delle sue scelte passate. Ma non l’aveva portata al punto di vedere che il suo libero arbitrio le mostrava ora l’opportunità di fare le scelte più costruttive riguardanti la sua relazione distruttiva. La presa di coscienza del libero arbitrio doveva ancora liberarla dal ruolo di vittima.

Il suo sentirsi vittima del marito si era spostato sul sentirsi vittima delle scelte passate. La vera libertà, l’uso creativo del libero arbitrio, ci lascia sempre liberi di scegliere in ogni momento la direzione che prenderà la catena delle nostre scelte. Un altro aspetto del libero arbitrio e delle scelte dell’anima che produce confusione ha a che fare col nostro concetto di come l’anima pensa e sceglie. Specialmente quando parliamo di difficoltà, di handicap ed avversità come cose che non ci vengono imposte dal di fuori ma che l’anima assume, la nostra mente può arrivare a pensare che tali condizioni sono veramente volontarie. Molti mi chiedono durante i seminari: “Lei intende dire che alcune persone hanno veramente scelto di vivere senza la vista, senza un arto o sapendo che sarebbero morti di fame in Africa? Non è possibile che qualcuno faccia scelte di questo tipo!”. 

La risposta a queste domande è che le nostre anime hanno in mente il bene supremo per noi e quindi sono disposte a vivere una sofferenza di tipo temporale a vantaggio delle lezioni imparate o della crescita spirituale che essa comporta. Il problema insito in questo tipo di risposta, tuttavia, è che ci sembra frammentare la nostra nozione di Sé evocando immagini apertamente semplicistiche di un’anima che pensa e sceglie separata  dal Sè conscio con cui tendiamo ad identificarci. Proprio come la donna dell’esempio sopra citato ha sostituito la vittimizzazione delle sue scelte con quella da parte del marito, quest’immagine popolare di un Sè superiore che sceglie e ci assoggetta alle avversità si limita a sostituire un’anima moralizzante che emette giudizi al posto di un Dio altrettanto giudice. È fin troppo facile per questo Sè superiore dire: “Penso sarà necessario essere lasciato da mia moglie nella prossima vita per imparare che non avrei dovuto lasciare la mia in quella precedente”. Il Sè superiore non sarà quello che fornisce la sofferenza quando ci sarà la separazione. Sarà il povero Sè inferiore che dovrà affrontare la sfida accettata dal Sè superiore. Una comprensione alternativa di come l’anima assume involontariamente il peso delle difficoltà emerge da una precedente considerazione di come opera la legge del karma.

Un’anima che si risveglia e vede la sua disarmonia grazie all’infinita armonia dell’universo è un’anima che sceglie di vivere la conseguenza che ne risulta come mezzo per riconquistare un equilibrio spirituale. Ma quella scelta sembra essere sostanzialmente diversa da quella che si verifica giorno dopo giorno nella nostra mente conscia. Quando scegliamo di seguire una data carriera, di sposarci con qualcuno o di fare una vacanza, ad esempio, ci sono due elementi molto importanti: il Sé riflessivo che sceglie e la persona, la cosa o l’attività scelte. Noi viviamo noi stessi come entità separate dall’oggetto della nostra scelta. In veste di coscienza separata che pone in atto una scelta, noi portiamo i nostri desideri personali, le motivazioni, le paure e persino i pregiudizi e i buchi neri ad influire enormemente su ogni decisione della nostra vita. Al contrario, la scelta che facciamo a livello dell’anima ha più a che fare con le forze che operano che con l’azione riflessiva del decidere.  A livello della coscienza, dove vengono portate a termine le scelte, non c’è tanto un Sè superiore perfettamente motivato che sceglie ciò che vi è di meglio anche quando fa male, ma piuttosto una consapevolezza che innesca necessariamente certe forze. Quella consapevolezza implica il riconoscimento da parte dell’anima dell’unità di cui essa è una parte. A questo riconoscimento dell’unità, si affianca una consapevolezza corrispondente che conosce quali esperienze sono in armonia con l’unità e quali no.

Tale realizzazione a sua volta agisce in veste di forza magnifica che porta certe esperienze di vita all’anima nella prossima reincarnazione. Tutte queste esperienze, sia piacevoli che spiacevoli, sono il prodotto di scelta del passato e tutte in un certo senso sono state scelte dall’anima. Ma non sono state scelte nel senso che un Sè superiore disgiunto concede o impone un’esperienza alla persona conscia e vuole ottenere il massimo di quanto gli viene assegnato. La scelta si verifica quando si creano le condizioni che mettono in moto quelle forze che producono in noi certe esperienze. 

La complessità della scelta a livello dell’anima è evidente soprattutto nella scelta del corpo fisico e dei genitori dai quali si nasce. Anche in questo caso si avverte la tendenza a semplificare eccessivamente il problema. Quando pensiamo ad un’anima che sceglie un corpo e i genitori, è troppo facile evocare l’immagine di anime che volteggiano in uno stato etereo tra un’esistenza all’altra e scelgono periodicamente di incarnarsi allo stesso modo in cui uno sceglierebbe una casa da comprare o dei vestiti da indossare. Possiamo immaginare quest’anima eterea decidere che è giunto il momento di tornare sulla terra per un’altra serie di lezioni e successivamente dare un’occhiata alle opportunità di entrate disponibili, osservare le donne in stato interessante e le potenziali famiglie a cui appartengono per poi dire alla fine “Prendo quella!”.

Non solo queste nozioni sono troppo semplicistiche per fornire una comprensione più profonda di come funziona la reincarnazione, ma creano anche delle contraddizioni imbarazzanti con le nozioni scientifiche riguardanti la determinazione delle caratteristiche umane.

La reincarnazione, con l’importanza da essa attribuita alle influenze del passato viste come agenti principali della nostra esperienza attuale, nega forse ciò che la biologia moderna può dirci sul ruolo vitale dei geni della creazione del nostro aspetto? Quando indichiamo le esperienze del passato come fonti di paure, capacità, forza e debolezza, dobbiamo ignorare ciò che la psicologia e le scienze sociali ci dicono sull’impatto che la crescita e l’ambiente sociale hanno su ognuno di noi? Come possiamo riconciliare le influenze passate e l’idea che un’anima scelga un corpo con quanto di meglio le scienze biologiche e sociali  hanno da dirci? La risposta a questa apparente contraddizione sta da qualche parte tra la posizione che vorrebbe l’ereditarietà e l’ambiente gli unici fattori che determinano il nostro destino, e il punto di vista opposto che negherebbe completamente il loro influsso.

La posizione intermedia permette un’interazione tra le influenze delle vite passate e quelle della vita attuale che definiamo ereditarietà ed ambiente. Le influenze ereditarie ed ambientali sono in verità le prime vere cause della nostra vita. Ma non sono le prime cause, ovvero cause messe in moto prima che ereditassimo un corpo, dei genitori ed una serie di esperienze infantili.

Queste cause derivano dalle scelte e dalle esperienze di vite precedenti, ed è stata quella serie di cause derivanti da vite passate a determinare in quale background genetico, su miliardi di possibilità, è stata immersa la nostra anima. Allo stesso modo, quelle stesse cause determinano in quali condizioni ambientali andremo a vivere in una nuova incarnazione. Alla luce di quello che abbiamo già visto sul modo in cui le scelte funzionano a catena, le scelte attive che vengono fatte quando l’anima viene tratta dentro il corpo sono molto poche.

L’anima infatti viene spinta assieme a qualcosa che assomiglia ad un’attrazione magnetica verso la giusta eredità genetica ed un appropriato background familiare che riflette la storia di quell’anima e i bisogni della crescita attuale. La parte non fisica di ciascuno di noi, come la registrazione composita di tutte le nostre scelte ed esperienze, sembra veramente essere adattata per riflettere le scelte che abbiamo fatto e le capacità sviluppate nel corso delle varie vite che hanno lasciato la loro impronta. Le ferite sia fisiche che emotive che si sono protratte nel tempo, hanno lasciato delle cicatrici; l’amore che abbiamo nutrito, gli scopi che ci siamo prefissi, quasi ogni sfaccettatura immaginabile dell’esperienza terrena ha lasciato la sua impronta, modellando l’anima. 

La nostra forma non fisica riassume sempre tutte le nostre esperienze fino a quel momento. Ed è questa forma, piuttosto che le scelte riflessive, a selezionare il corpo, la famiglia, la ambiente e le altre circostanze in cui siamo nati. Nel momento in cui entriamo in una nuova forma fisica, il Sé non fisico, con una sua forma unica, viene spinto verso il corpo a lui adatto, e verso l’ambiente familiare che riflette in modo migliore la sua storia e dei suoi bisogni.  In questo modo l’ereditarietà e l’ambiente sono vere e proprie forze operanti in una struttura reincarnazionista.  Possiamo collegare i tratti fisici, la creatività, l’intelligenza ed altre caratteristiche all’eredità genetica che abbiamo ricevuto. Possiamo tracciare una relazione di causa ed effetto tra gli aspetti dell’ambiente infantile ed aspetti successivi del carattere  e della personalità, ma all’interno di una visione reincarnazionista, quell’ambiente infantile e quel patrimonio genetico non sono frutto di una circostanza casuale di quando siamo venuti al mondo. Sono piuttosto un riflesso naturale e logico di ciò che l’anima ha portato con sé!

 

Lynn Elwell Sparrow- Edgar Cayce- Reincarnazione