IL PURGATORIO E IL KARMA
Il Vangelo non parla affatto del purgatorio, ammesso dalla Chiesa soltanto nell’anno 593. E’ sicuramente un dogma più razionale e più conforme alla giustizia divina di quanto lo sia l’inferno, poiché stabilisce pene meno rigorose, applicabili per colpe di media gravità.mIl principio del purgatorio è quindi fondato sull’equità perché, tradotto in termini di giustizia umana, rappresenta la detenzione temporanea in confronto all’ergastolo. Cosa si penserebbe di un paese che avesse soltanto la pena di morte per i delitti e per i crimini meno gravi? Senza il purgatorio, per le anime non vi sono che due alternative contrapposte: la felicità assoluta o il supplizio eterno. In questa ipotesi, che cosa diventano le anime colpevoli solo di lievi peccati? O condividono la beatitudine degli eletti senza essere perfette, oppure subiscono il castigo dei peggiori criminali senza aver fatto del male: e questo non sarebbe né giusto né razionale.
Ma la nozione del purgatorio doveva essere necessariamente incompleta: ecco perché non conoscendo che la pena del fuoco, si è fatto del purgatorio una versione ridotta dell’inferno: anche lì le anime bruciano, ma di un fuoco meno intenso. Poiché il progresso è inconciliabile con il dogma delle pene eterne, le anime non ne escono grazie al proprio avanzamento, ma in virtù delle preghiere che vengono dette o fatte dire per loro. Se il pensiero fondamentale era buono, non si può dire lo stesso delle sue conseguenze, a causa degli abusi cui hanno dato origine. Grazie alle preghiere a pagamento, il purgatorio è diventato una miniera più redditizia dell’inferno spiegandoci le cause delle miserie della vita terrestre, di cui soltanto la pluralità delle esistenze potrebbe dimostrarci la giustizia.
Queste miserie sono necessariamente conseguenza dell’imperfezione dell’anima, perché se l’anima fosse perfetta, non commetterebbe peccati e non dovrebbe pagarne il fio. L’uomo che fosse sobrio e moderato in tutto, per esempio, non sarebbe preda delle malattie provocate dagli eccessi. Molto spesso, l’uomo è infelice quaggiù per colpa propria; ma se è imperfetto, lo era già prima di venire sulla terra: qui espia non soltanto le sue colpe attuali, ma anche le colpe anteriori alle quali non ha posto rimedio; sopporta in una vita di prove ciò che ha fatto subire agli altri in un’altra esistenza. Le vicissitudini che attraversa sono nello stesso tempo una punizione temporanea e un avvertimento relativo alle imperfezioni di cui deve liberarsi per evitare le sventure future e per progredire verso il bene. Sono, per l’anima, lezioni dell’esperienza, lezioni talvolta dure, ma tanto più utili per l’avvenire quanto più profonda è l’impressione che lasciano. Queste vicissitudini sono occasione di lotte incessanti che sviluppano le sue forze, le sue facoltà morali e intellettuali e la rafforzano nel bene: da queste essa esce sempre vittoriosa, se ha il coraggio di continuare fino in fondo. Il premio della vittoria sta nella vita spirituale, in cui l’anima entra radiosa e trionfante, come il soldato che esce dalla mischia e riceve la palma gloriosa.Ogni esistenza è, per l’anima, l’occasione di compiere un passo in avanti: dalla sua volontà dipende che quel passo sia il più lungo possibile, dipende la possibilità di superare parecchi gradini o di restare allo stesso punto; in quest’ultimo caso, ha sofferto inutilmente; siccome bisogna sempre, prima o poi, pagare i propri debiti, dovrà ricominciare un’esistenza nuova in condizioni ancora più difficili, perché ad una macchia non cancellata ha aggiunto un’altra macchia.
Nelle incarnazioni successive, quindi, l’anima si spoglia a poco a poco delle proprie imperfezioni, si purga, in una parola, fino a diventare pura quanto basta per lasciare i mondi dell’espiazione per mondi più felici, e in seguito per lasciare anche questi ultimi e godere della felicità suprema.
Il purgatorio, dunque, non è più un’idea vaga e incerta; è una realtà materiale che noi vediamo, che tocchiamo e subiamo; è nei mondi dell’espiazione, e la terra è uno di tali mondi: gli uomini vi espiano il loro passato e il loro presente, a vantaggio del loro avvenire. Ma, contrariamente all’idea che ci si fa in generale, dipende da ciascuno abbreviare o prolungare il proprio soggiorno, a seconda del grado di avanzamento e di purificazione cui è giunto lavorando su se stesso; ne esce, non perché abbia finito il suo tempo o per i meriti altrui, ma per merito proprio, secondo le parole di Cristo: «A ciascuno secondo le sue opere». Queste parole riassumono tutta la giustizia di Dio.Quindi, colui che soffre in questa vita deve dire a se stesso che ciò avviene perché non si è ancora purificato a sufficienza nell’esistenza precedente e che, se non lo fa in questa, soffrirà ancora nella seguente. Tutto ciò è, nello stesso tempo, equo e logico. La sofferenza è inerente all’imperfezione, e si soffre finché si è imperfetti, proprio come si soffre per una malattia finché non si guarisce. Così, finché un uomo è orgoglioso, soffrirà le conseguenze dell’orgoglio; finché è egoista, soffrirà le conseguenze dell’egoismo.
Lo Spirito colpevole soffre innanzi tutto nella vita spirituale, a causa delle sue imperfezioni; poi gli viene data la vita corporale, come mezzo di riparazione: è per questo che si trova sia con le persone che ha offeso, sia in ambienti analoghi a quelli in cui ha fatto del male, sia in situazioni che costituiscono una contropartita: per esempio, sarà in miseria se era un ricco malvagio, sarà in una condizione umiliante se è stato orgoglioso ed ha umiliato gli altri. L’espiazione, nel mondo degli Spiriti e sulla terra, non è affatto un doppio castigo per lo Spirito; è la stessa che si continua sulla terra, come complemento, per facilitare il suo miglioramento con un lavoro efficace: dipende da lui metterla a profitto. Non è forse meglio per lui ritornare sulla terra con la possibilità di conquistare il cielo, piuttosto che essere condannato senza remissione, dopo averla lasciata? La libertà accordatagli è una prova della saggezza, della bontà e della giustizia di Dio, il quale vuole che l’uomo debba tutto ai propri sforzi e sia l’artefice del proprio avvenire; se è infelice, e se lo è più o meno a lungo, non può prendersela che con se stesso: la via del progresso gli è sempre aperta. Se si considera quanto è grande la sofferenza di certi Spiriti colpevoli nel mondo invisibile, come è terribile la situazione di alcuni, e quante sono le ansie di cui sono preda; se si considera poi che tale condizione è resa ancora più dolorosa dal fatto che essi non possono vederne il termine, si potrebbe dire che per loro è l’inferno, se questa parola non sottintendesse l’idea di un castigo eterno e materiale. Grazie alla rivelazione degli Spiriti ed agli esempi che ci offrono, noi sappiamo che la durata dell’espiazione è subordinata al miglioramento del colpevole.
ALLAN KARDEC – Le rivelazioni degli Spiriti
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