Nde la morte e la vita dopo la morte

Spesso viene messa in dubbio la realtà delle guide o angeli custodi, come pure la presenza di affettuosi esseri umani, in genere membri della nostra famiglia morti prima di noi, spiriti venuti ad incontrarci e a darci il benvenuto al momento del nostro trapasso. L’interrogativo è naturale: come si può verificare scientificamente questo tipo di avvenimento? Per me  come psichiatra, è interessante che migliaia di persone in tutto il globo abbiano le stesse allucinazioni prima della morte, ossia la percezione della presenza di parenti o amici che gli precedettero nella morte. Se questo non è reale, deve avere una spiegazione. E così continuammo, tentando di trovare dei mezzi e dei metodi per studiare il fenomeno, per verificarlo o magari anche per concludere che è solo una proiezione di desideri. 

Il modo migliore per fare questo fu forse di stare accanto a bambini moribondi in seguito a incidenti avuti insieme alla famiglia. Di solito accadeva dopo il 4 luglio, o dopo il fine settimana, o dopo ricorrenze in cui le famiglie uscivano in auto e troppo spesso avevano scontri frontali che uccidevano alcuni membri della famiglia e spedivano in vari ospedali i sopravvissuti feriti. Mi sono assunta il compito di assistere i bambini feriti gravemente, poiché sono la mia specialità, sapendo bene che nessuno li aveva informati del numero e dei nomi dei parenti uccisi nell’incidente. Mi ha sempre colpito il fatto che essi sapevano benissimo chi li aveva preceduti nella morte. Sedevo accanto a loro, li vegliavo in silenzio, tenevo loro la mano, osservavo la loro agitazione; poi, spesso subito prima della morte, potevo riscontrare una serenità che sempre  era  un brutto segno. A questo punto chiedevo loro che cosa stava succedendo, e la risposta era quasi sempre: “Va tutto bene”.

Una volta un piccolo paziente mi disse: “Mamma e Peter mi stanno aspettando”. Sapevo che la madre era morta nell’incidente, ma non sapevo nulla di Peter. 10 minuti dopo ricevetti una telefonata dall’ospedale dei bambini che mi avvertiva che Peter era appena spirato. In tutti gli anni durante i quali abbiamo raccolto questo tipo di dati non mi è mai capitato un bambino che, nell’imminenza della morte, nominasse qualcuno che non era già morto, anche se solo da qualche minuto. Non so come spiegare questo fatto se non con la consapevolezza che i morenti hanno della presenza dei loro cari in attesa di accoglierli  dopo la morte per riunirsi a loro in forma di vita che per molti è difficile accettare. Un’altra esperienza mi commosse anche più di quelle fatte con i bambini e fu il caso di una indiana americana.

Sugli indiani americani abbiamo pochissimi dati poiché essi non parlano facilmente dalla morte. Questa giovane donna indiana fu investita da un pirata della strada. Quando uno sconosciuto si fermò per portarle aiuto, lei gli disse con molta calma che non c’era niente che lui potesse fare per lei, salvo forse recarsi un giorno alla riserva indiana dove viveva sua madre, che era a circa settecento miglia dalla scena dell’incidente. Ella aveva un messaggio per sua madre, e forse un giorno egli avrebbe potuto recarglielo. Il messaggio diceva che lei stava bene, non solo, che era molto felice perché aveva raggiunto papà. Poi ella spirò fra le braccia dello sconosciuto, il quale fu tanto commosso all’idea di essersi trovato là al momento giusto che guidò per settecento miglia per far visita alla madre dell’indiana nella riserva, solo per sentirsi dire che il marito di lei, il padre della vittima della strada, era morto un’ora prima dell’incidente! Abbiamo molti casi come questo, in cui gente in punto di morte, che non sapeva della morte di un congiunto, veniva da lui accolto e salutato.

Ci rendemmo anche conto che il compito di queste persone nel raccontare le loro esperienze non era convincere altri che la morte non esiste, ma semplicemente raccontare. Se si è disposti ad ascoltare e sì tiene la mente aperta, si potranno avere esperienze personali. Il caso più drammatico e indimenticabile che mi capitò, fu quello di un uomo che aspettava di essere caricato in auto dalla sua famiglia per una gita festiva fuori città per far visita ad alcuni parenti. Durante il tragitto verso il luogo dove lui lavorava e dove l’avrebbero caricato, i suoi suoceri, sua moglie e i suoi otto figli che viaggiavano in un furgone, vennero investiti da un’auto botte piena di benzina. La benzina inondò il furgone che s’incendiò e l’intera famiglia morì tra le fiamme.

Dopo aver saputo quello che era accaduto, l’uomo rimase in stato di choc per varie settimane, smise di lavorare, era incapace di comunicare. In breve, divenne un vero vagabondo che beveva mezzo gallone di whisky al giorno, che tentò perfino la droga per attutire il suo tremendo dolore, divenendo incapace di conservare un lavoro per più di alcuni giorni e finendo letteralmente in una fogna. Fu durante uno dei miei frenetici spostamenti ,e quando avevo appena finito la seconda conferenza sulla vita dopo la morte, che un ospizio di Santa Barbara mi chiese un’altra conferenza.

Appena cominciai a parlare mi resi conto di essere stanca di ripetere le stesse cose e mi dissi: “Signore, perché non mi mandi qualcuno dell’uditorio che abbia avuto un’esperienza di premorte e che desideri farne parte agli altri? Potrei così prendermi un intervallo ed essi otterrebbero un’esperienza di prima mano invece di riascoltare le mie vecchie storie”. In quel momento l’organizzazione dell’ospizio mi diede un pezzetto di carta che conteneva il messaggio urgente di un uomo che alloggiava in una locanda. Egli mi chiedeva di potermi raccontare la sua esperienza di premorte. Feci un breve intervallo e gli feci avere un messaggio di invito. Pochi minuti dopo l’uomo arrivò. Invece di essere un vagabondo come aveva scritto nel suo biglietto, era un uomo distinto e ben vestito, che salì subito sul palco; senza indugio lo incoraggiai a far partecipe l’uditorio di ciò che desiderava dire:

Egli raccontò come avesse atteso con impazienza la riunione di famiglia, come tutti i suoi si fossero stipati nel furgone e come, mentre si recavano al suo luogo di lavoro per caricare anche lui, avessero avuto un terribile incidente nel quale erano morti fra le fiamme. Raccontò di essere rimasto stravolto e intontito, di non essere stato capace di credere di essere ormai un uomo solo, che aveva avuto dei figli e che ora non ne aveva più nemmeno uno e doveva vivere senza più nessuno della sua famiglia. Raccontò che era diventato un relitto umano, ubriaco dalla mattina alla sera, che avevo usato ogni possibile droga e che aveva tentato di suicidarsi in tutti i modi senza mai riuscirci.

Dopo due anni di vagabondaggio, ricordava di essersi trovato ai bordi di una foresta lungo una strada sporca, ubriaco come al solito e solo, desideroso di riunirsi alla sua famiglia, quando un grosso camion sopraggiunse e gli passò letteralmente sopra. Fu in quel momento che egli si vide gravemente ferito sulla strada, a osservare la scena dell’incidente dall’altezza di qualche metro. E nello stesso istante la sua intera famiglia gli apparve in un bagliore di luce: nei loro sorrisi c’era un’incredibile amore, e loro si limitavano a manifestargli la loro presenza, senza comunicare a parole, ma rendendolo partecipe con la trasmissione del pensiero, della gioia e della felicità della loro nuova esistenza. L’uomo non ci seppe dire per quanto tempo durò quella sua riunione con la famiglia. Ma fu tanto sbalordito dal fatto che erano sani, belli, radiosi, dalla constatazione che accettavano la sua attuale condizione di vita, che lo amavano incondizionatamente, che fece voto di non toccarli, di non raggiungerli, ma di rientrare nel suo corpo fisico… e promise che avrebbe raccontato a tutti la sua esperienza, per redimersi dal peccato di due anni trascorsi a tentare di suicidarsi.

Dopo aver fatto questo voto, vide il camionista trasportare il suo corpo, vide arrivare l’ambulanza, si vide portare al reparto rianimazione dell’ospedale e deporre su una barella. E fu in rianimazione che rientrò finalmente nel suo corpo, si liberò dalle cinghie che lo legavano e uscì dal reparto con le sue gambe, senza soffrire di delirio tremens o di qualunque altro effetto dell’abuso di droga di alcol. Si sentì guarito e integro e fece il proposito di non morire prima di aver condiviso la sua certezza dell’esistenza di una vita dopo la morte con quante persone volessero ascoltarlo. Dopo aver letto un articolo di giornale che parlava della mia presenza a Santa Barbara, mi aveva mandato la sua richiesta. E quando gli permisi di raccontare la sua esperienza, egli potè mantenere la promessa fatta quando aveva potuto riunirsi felicemente la sua famiglia, anche se per poco tempo. Non dimenticherò mai la sua gioia, la sua gratitudine e la luce nei suoi occhi quando gli fu permesso di entrare nell’auditorio senza problemi, senza che si diffidasse di lui, consentendogli di raccontare a centinaia di persone che egli sapeva per certo che il nostro corpo fisico è solo un guscio che racchiude il nostro io immortale.

*Elisabeth Kübler-Ross – La Morte E La Vita Dopo La Morte           

 * Nel campo della ricerca sulla morte, la dottoressa Elisabeth Kübler-Ross si è meritatamente conquistata grande fama. Le innumerevoli ore trascorse accanto ai pazienti allo stadio terminale le consentirono di fare scoperte in seguito confermate da altri ricercatori, ormai patrimonio acquisito di questo campo di studio. Elisabeth Kübler-Ross non esitò a mettere a repentaglio il suo buon nome di scienziata affermando ciò che le esperienze dei morenti gli avevano insegnato: la morte in realtà non esiste, è un passaggio a un altro stadio di coscienza, in cui si continua a crescere psichicamente e spiritualmente. Elisabeth Kübler-Ross psichiatra, ha svolto un lavoro pionieristico nel campo dell’assistenza ai malati terminali e della ricerca sulla morte e il morire. Per questi suoi lavori scientifici le sono state conferite da varie università lauree honoris causa. Grazie al suo impegno e alla sua instancabile attività, l’assistenza ai morenti e la ricerca sulla morte sono divenuti di grande attualità.

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