KARMA: I SENSI DI COLPA ?

I sensi di colpa derivano spesso da decisioni sbagliate. Chi, in questa vita, si è programmato nel modo seguente: “Io sono colpevole” si troverà costretto a vivere proprio situazioni nelle quali deve sperimentare sensi di colpa, oppure avrà atteggiamenti mentali che gli faranno prendere tutto quello che gli succede in modo negativo, portandolo a rimproverare se stesso e ad autoaccusarsi. Questo tipo di persone cerca motivi per sentirsi in colpa. Chi si è addossato la colpa, effettiva o immaginaria, deve nuovamente scaricarla attraverso una sorta di indebitamento nei confronti degli altri e del contesto in cui si trova, ma soprattutto nei confronti di se stesso. All’interno della terapia regressiva, è possibile ricevere aiuto nei casi in cui sia necessario scaricare i sensi di colpa. I sensi di colpa che originano nelle vite pregresse e che si ripercuotono nella vita attuale arrivano dal passato come un’eredità. Molti sensi di colpa di oggi hanno origine nella fase prenatale: quando il feto apprende che la sua esistenza rappresenta un problema per i suoi genitori, o anche solo per uno dei due, si sente colpevole. Se il marito si rivolge a sua moglie incinta con le parole “Non possiamo permetterci un bambino adesso. Non abbiamo soldi, come facciamo pagare tutto?”, Oppure, se la rimprovera anche, in malo modo, allora il senso di colpa del feto cresce e cresce sempre di più a ogni manifestazione di malumore. Nel caso in cui l’uomo a causa della gravidanza della sua compagna volesse separarsi da lei, oppure se la donna si vedesse costretta a sposarsi senza volerlo davvero, il feto (consciamente) e la persona adulta poi (a livello inconscio) si darebbe la colpa della separazione dei due genitori, oppure dell’indesiderata unione matrimoniale. Posteriori complessi di inferiorità: “Io non ho il permesso di esistere”, oppure: “Io sono indesiderato” possono andare di pari passo con i sensi di colpa che riescono però a motivare la persona che li prova nel dimostrare ai genitori di essere degna di vivere la vita; oppure possono spingerla a esaudire ogni loro desiderio finché essi non muoiono: sia per ringraziarli di averla fatta nascere, sia per cancellare tutti quei problemi che ella ha rappresentato per loro quando era ancora un feto. Spesso le persone portano in sé un misto di diversi tipi di colpe, unite a un senso di vergogna: questo fa sì che il corso della terapia regressiva, tra il districarsi dei nodi emotivi legati ai sensi di colpa e lo scioglimento dei sensi di colpa stessi, sia tutt’altro che breve.

In psicologia si parla di complessi quando è possibile trovare un denominatore comune allegare una serie di sintomi; il paziente che riconosce di avere almeno tre dei sintomi tipici di un determinato complesso, può dire di soffrirne. Il denominatore comune che raggruppa un certo numero di sintomi è il complesso di inferiorità, che appare sempre accompagnato da altri disturbi. Ai molti sintomi di questo complesso appartengono: la scarsa fiducia in se stessi, lo sconforto e l’avvilimento, il senso di impotenza, spesso l’invidia, l’autocommiserazione, la scarsa coscienza di sé, il pessimismo, la mancanza di autostima e altro. Le persone afflitte da sensi di colpa soffrono spesso di questo complesso, così come le persone che soffrono di depressione.

Una donna arrivò in terapia da me con un pesante senso di inferiorità; era nata illegittima e fu rifiutata dalla madre. La madre, alcolizzata, tornava spesso a casa nel suo appartamento accompagnata da uomini, svegliava la piccola figlia e la picchiava senza alcun motivo. Qualsiasi cosa la figlia facesse era sbagliata e così veniva picchiata per qualunque cosa. Come mi disse, sentiva che nessuno l’aveva mai amata e si considerava al pari di una “pezza da piedi”. In una precedente vita da carnefice, era una giovane sovrana che, così come faceva suo padre ormai morto, trattava tutti come “pezza da piedi”. Ella non solo disprezzava suo marito, che tradiva in svariate occasioni, ma fece addirittura giustiziare il suo amante. Durante la regressione, nei panni di quella sovrana disse: “Posso tranquillamente vedere sgorgare il sangue. Non mi fa alcun effetto. M’importa solo di me”. Dopo cinque anni di regno, la sovrana fu uccisa. Quella vita da carnefice, nella quale, come lei stessa dovette ammettere dopo la sua morte, si era comportata come una “bestia”, attirò a sé molte vite successive da vittima, in cui dovette subire dolori, emarginazioni e condanne per stregoneria. Eppure i suoi complessi di inferiorità, nella vita attuale, non arrivano solo dalle vite precedenti: la programmazione decisiva deriva dal padre, il quale, mentre la madre era incinta, espresse un chiaro disgusto nei confronti della gravidanza e della nascitura. Sua madre era rimasta incinta per legare a sé il suo compagno, ma egli, di idea contraria, l’abbandonò ed ella prese a odiare con tutta se stessa il frutto del proprio amore, perché invece di unirla al suo uomo l’aveva portata a ripudiarla. La donna pensò seriamente all’aborto. Il feto visse persino il conflitto che la madre viveva con i propri genitori. I suoi molteplici sensi di inferiorità da adulta risultano dall’identificazione con la madre: fin da quando si trovava nella sua pancia, ma soprattutto nelle esperienze dell’infanzia e dell’adolescenza, ella aveva subito il suo odio profondo. Eppure sappiamo che lei stessa si era cercata proprio quella madre e proprio quella vita, per imparare cosa si prova a non essere amati e addirittura a essere ripudiati. A scuola le compagne la prendevano in giro dandole della bastarda perché non aveva un padre. Nella vita attuale la donna deve ancora scontare il karma derivante dalle sue colpe precedenti. I suoi complessi di inferiorità sono dunque da vedere in connessione con una sindrome auto-punitiva. Il complesso di inferiorità risale spesso una vita precedente, talvolta a più vite, in cui l’anima di un tempo, per motivi di orgoglio, di mancanza di rispetto per gli altri, di presunzione di avere sempre l’ultima parola ha visto una grande sofferenza o ha addirittura dovuto morire, programmandosi quindi di conseguenza: “non voglio più ribellarmi ai potenti. Voglio fare tutto ciò che mi dicono, in modo da non soffrire più per causa loro”. Può darsi anche che in una vita precedente quest’anima abbia abusato del proprio potere e che si sia imposta la seguente programmazione: “Non voglio più avere potere. Al contrario, voglio vivere nell’umiltà più totale e fare tutto ciò che mi viene ordinato di fare”.

Trutz Hardo – Regressione alle vite precedenti

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